31/01/12

Equazioni artistiche



Quando ero piccola, odiavo suonare. Iniziai ad otto anni ad essere sguita da uno dei migliori insegnanti di pianoforte di Jutòu. Mi esercitavo due ore al giorno ed ero in grado di eseguire tutti i pezzi con precisione e puntualità, tanto da suscitare l'approvazione del mio maestro.

I problemi iniziarono ad esserci più tardi, quando iniziarono a dirmi che avrei dovuto fare un salto di qualità: la mia esecuzione era ottima, dicevano, ma avrei dovuto metterci più sentimento. Ricordo di aver chiesto loro cosa intendessero, per "metterci più sentimento", e di aver ricevuto risposte altrettanto criptiche: "non ascoltare solo la musica - dicevano - prova a sentirla."
Prova a sentirla come senti l'acqua sulla pelle sotto la doccia, prova a sentirla come se fosse elettricità. La musica non parte dai tasti che premi sul pianoforte, né dalle dita, né dalle mani. La musica non è la corretta angolazione dei palmi, la musica deve venirti dal petto. Se suoni un pezzo triste, senti quella tristezza. Se esegui un allegretto, sorridi, e se sei alle prese con un adagio chiudi gli occhi ogni tanto, prova a scivolarci sopra.

Ho una buona memoria. Ricordo ognuna delle cose che mi vennero dette, e ricordo anche il lieve senso di frustrazione quando, pur tentando, non riuscivo a sentire la musica né a scivolare sulle note, producendo un'esecuzione perfetta ma priva di passione.

Kian Aberdeen. Il mio secondo insegnante di pianoforte dopo il trasferimento ad Afghana, un uomo grigio e impaziente. Fu lui, quando avevo sedici anni, a decidere di smettere di seguirmi, perché del tutto incapace di raggiungere quel grado di imperfezione che esigeva, quella capacità di sporcare le note con ricordi e sentimenti che, a quanto pare, mi mancava più che a nessun altro.

Dopo il suo allontanamento - che vissi intimamente come un abbandono - riflettei a lungo su cosa fare. Inizai ad osservare le riproduzioni olografiche di grandi concertisti, studiandone da vicino i volti e le mani, cercando di capire da dove venisse quella scintilla di cui io tanto difettavo. Cercavo una tecnica, qualcosa da classificare e imitare. E se non trovai niente nei volti di quegli uomini così trasportati dal loro prodotto, ottenni ciò che volevo nell'ascoltare più volte il ritmo inconfondibile di ogni pezzo, il selciato ideale in cui tornava ogni virtuosismo, l'esatta costruzione dell'andamento armonico.

Così, mentre cercavo la musica, trovai la matematica. L'applicazione divenne studio teorico: il temperamento equabile, il ciclo delle quinte, la suddivisione dei toni su una linea logaritmica e le frequenze, e lo studio teorico che tornò all'applicazione e mi regalò, finalmente, quello spirito che fino a quel momento mi era mancato.

Penso che fu in quel momento che mi resi conto di poter fare qualsiasi cosa avessi mai desiderato.

E ora guardo le luci di Capital City sotto un cielo scuro, immaginando i tentacoli di un incrociatore pesante che si protendono verso decine di medium e light cruiser, pompando dentro di loro la forza vitale della tecnologia.

Senza la matematica, niente di tutto ciò sarebbe possibile.

E io sento sulla pelle come, nel mio piccolo, sto aiutando l'Universo a ridimensionare la mano di Dio.


28/01/12

Rajan Kapoor



Le tue ex, adesso?

Le mie ex?

Sì, inizia dall'ultima e va indietro in ordine cronologico: tanto vale fare questo discorso subito, no?

Sei seria?

Ovviamente.

Mmh... d'accordo. Dall'ultima, quindi?

Sì, avanti.

Ok. Allora... che ne so, come si fa?

Nome, quando, come l'hai conosciuta, quanto tempo ci sei stato insieme e perché è finita.

D'accordo, d'accordo. L'ultima... prima di te, no?

Spiritoso. Avanti.

D'accordo. Allora, l'ultima immagino sia stata... Rebecca, fino a... cinque mesi fa? Ci siamo lasciati perché... be', perché aveva qualcosa con un mio collega di lavoro, in verità.

Terribile.

Abbastanza... soprattutto perché la conobbi ad un meeting di lavoro. Niente di serio, però: qualche mese insieme.

D'accordo... prima di lei?

Non ricordo...

E vuoi che ci creda?

Suppongo di no... prima di lei una musicista di Lòng City, Jolene. La conobbi tramite amici, era a New London per una serie di concerti con un quartetto d'archi. Non ricordo bene come finì, ma devo dire che mi tirò fuori da un periodo difficile"

"Un periodo difficile in che modo?"

"Una brutta rottura"

"Con?"

"Devo davvero continuare?"

"Avanti Raj, con chi?"

"Declan Khan"

"E chi è?"

"Un ingegnere che lavorava con me alla Blue Sun"

"Che tipo era?"

"Era... non so, è una domanda difficile. Era molto dedicata al lavoro, intelligente... ma non le interessava molto altro. In verità, spesso avevo la sensazione che le interessassi poco anche io"

"Cosa te lo fa dire?"

"Non so... stettimo insieme un anno, in cui provai decine di volte a... a fare un passo avanti. A presentarla alla mia famiglia, a fare un viaggio insieme, a iniziare a convivere... ma ogni volta che mi facevo avanti mi diceva che non era il momento migliore, che aveva da fare con il lavoro. Quando le dissi che volevo rompere non sembrò neanche un po' colpita, né sorpresa, né... be'. Era una persona molto fredda, suppongo che per i mesi successivi mi sia sentito semplicemente... arrabbiato. Ci misi un po' a riprendermi"

"Per questo la musicista ti cambiò la vita?"

"Non è quello che ho detto..."

"Devo preoccuparmi di questa Jolene, Raj?"

"Stupida..."

25/01/12

Jimmy

Sono in ritardo, sicuramente quando la stronza vedrà i log dell'ingresso mi darà il benservito. Potrei provare a modificarli, se qualche paranoica non modificasse la password al sistema di controllo ogni quarantotto ore, rendendo ogni tentativo di hackeraggio del tutto inutile. Quando porti a spasso i cani della vice CEO della Blue Sun, d'altra parte, non ti piglia neanche di fare un tentativo, sia mai la stronza avesse un firewall nuovo di zecca anche per quello.

Mi rassegno al ritardo, digitando il doppio codice d'accesso e mettendomi di fronte allo scanner retinico, occhi bene aperti. La stronza mi ha costretto ad imparare il codice a memoria, dieci cifre il primo e dieci quello di controllo, più altre dieci quello per l'allarme silenzioso che va direttamente allo sceriffato locale. La maggior parte della gente si accontenta dello scan retinico, del timbro vocale al massimo, ma lei no. Lei pensa evidentemente di avere qualcosa di prezioso.

Cosa sia, impossibile dirlo. Una volta entrato la porta mi si richiude alle spalle, l'ambiente in cui mi ritrovo è una casa spaziosa e piena di luce, ma incredibilmente vuota. Mobili e apparecchi tecnologici a non finire, ma niente che la distingua da altre decine che se ne vedono sulle riviste di arredamento minimalista. Il lusso... quello c'è. Per stare in un appartamento così grande a Di San devi aver raccolto soldi in vita tua, contato ogni centesimo da quando avevi dieci anni... sarà per questo che è stronza, perché è avida e l'avidità l'ha resa sola, frigida come un'ottantenne, nonostante il culo che ha.

Solo quelle dannate bestie, le piacciono. Quando mi vedono, e mi vedono tutti i giorni da due settimane, non provano nemmeno a scodinzolare, si limitano a guardarmi con la stessa aria distaccata e snob della padrona. La devozione che hanno per lei è totale, quasi fastidiosa se si considera che sono cinque anni che faccio il dog sitter e, nonostante ciò, ho avuto bisogno della sua assistenza per tutta la prima settimana, o altrimenti le bestie mi avrebbero divorato.

Shennong e Chi Yu, fratello e sorella, a volte quando mi avvicino e li chiamo credo che mi sbraneranno con la calma compostezza della padrona. Invece si fanno mettere il guinzaglio e, dopo un'ora esatta di passeggiata, tirano per tornare a casa. E' quasi come se non gli piacesse la mia compagnia. E ogni volta che vedono la stronza, invece, si sciolgono in un'allegria genuina. L'unica volta che ho visto la stronza sorridere - sul serio, non quelle smorfie che fa per cortesia - l'unica volta che la vedo sorridere è quando ha queste dannate bestie attorno.

Sono fatti l'un per l'altro.

24/01/12

Nadja

31 Dicembre 2513.

La mia vita è un casino. Quando nasci nei grattacieli di Jutòu il tuo destino è scritto, la strada precisa, se poi non è quella che fa per te problemi tuoi. Ti mettono il cognome Khan, ti danno un IdN e la tua vita te la puoi vedere davanti, è un percorso già tracciato e camminato così tanto che il suolo si è consumato. E ogni volta che ci riuniamo con tutta la famiglia, tutti i Khan da una parte e tutti Nerhu dall'altra, ho la netta sensazione di essere l'unica a rifiutarsi di camminare.

Mi hanno cacciato da medicina. L'ho detto a mamma, ma sto aspettando un momento migliore per dirlo a papà. Sto aspettando un momento migliore anche per dir loro che vorrei fare qualcosa di diverso nella mia vita, anche se ho ventisei anni e devo ancora decidere bene cosa. L'umiliazione sarà la solita. La prima volta che la provai fu quando mi rifiutai di imparare il solfeggio e dissi loro che non avrei più voluto suonare il pianoforte. Continuavano a ripetermi "l'hai scelto tu", ma io guardandolo pensavo fosse più facile.

Non è il peggiore dei miei problemi, al momento.

Sono anche ingrassata. Ho fatto fatica ad infilarmi nel vestito, oggi, e anche se nessuno sembra accorgersene ho le gambe più gonfie del solito e i tacchi che mi fanno male. Quando mi alzo, per fortuna, c'è Deshawn che mi porge il braccio e mi sostiene. Gli sorrido e lo bacio sulla guancia, dicendogli per fortuna che ci sei tu. Quando ho annunciato che l'avrei portato, papà ha fatto lo sguardo solito. So bene cosa pensa, tutta la famiglia: che ne porto uno diverso ad ogni occasione, che non so tenermi un uomo, che sono una testamatta. Fino ad ora, forse, ma con Deshawn è tutto diverso: lui è sincero.


Ci spostiamo dal divano al tavolo quando ormai è tempo di cenare. Siamo dislocati nella sezione giovanissimi, dove vengono posizionati tutti quelli che non contribuiscono economicamente, scientificamente o tecnologicamente al miglioramento del 'Verse. Rinuncio a parlare con gli adulti e passo i primi minuti a parlare con Deshawn, almeno finché Jordan, come sempre, non attira l'attenzione. La osservo chiedendomi come faccia ad avere la pelle così abbronzata e il seno così grosso. E' poco più grande di me, più o meno come mia sorella. Ma non ha niente a che spartire, con lei: è una narratrice nata, e ogni suo racconto è più interessante del precedente... è perché ha fatto la guerra su un incrociatore della marina alleata. Sospiro, considerando che forse avrei dovuto arruolarmi anche io, quando ancora facevo in tempo. E mentre Jordan catalizza lo sguardo ammirato di tutti i presenti a tavola, compreso il mio, mi chiedo se con le sue storie e il suo carisma mi sarei guadagnata anche io un posto al tavolo degli adulti.

Mi alzo dopo il secondo un attimo dopo mia sorella, con la scusa dell'andare ad incipriarmi il naso. Poggio un bacio sulla guancia di Deshawn, sussurrandogli all'orecchio cosa faremo più tardi, a festa finita. Lui sorride con quel bel sorriso bianco che ha, scuote il capo con tutto il suo infinito charme e ho l'impressione per un attimo che possa diventare l'uomo della mia vita. Ma non ho tempo per pensarci, adesso: esco dalla sala principale, sapendo benissimo dove andare.

Esco sul patio. Declan, dopo aver previdentemente indossato il cappotto - a differenza mia - sta fumando mentre guarda lo skyline di Gandhi.

"La sigaretta di capodanno?" chiedo, tentando di usare un tono che sia leggero, mentre mi stringo le braccia sotto il petto rabbrividendo. Lei si volta verso di me lentamente, rivolgendomi lo stesso sguardo distante che aveva anche da bambina e che fin da bambina mi faceva sentire un'estranea.

"Già - risponde solamente, tornando a guardare davanti a sé - Deshawn sembra un uomo ben educato"

"Ti ringrazio"

"Non è il figlio di Shamanon Sun, il socio dello studio legale Ronsom&Tatcher, di Lòng City?"

"Proprio lui"

"Ho sentito che suo padre è stato trovato colpevole di spionaggio aziendale... rischia di perdere tutto".

"La sua famiglia sta attraversando
- abbasso lo sguardo fissandomi i piedi, sentendomi come quando, a otto anni, mi scoprì a rubare i trucchi di mamma e utilizzarli per pitturare la mia stanza - un periodo difficile, senza dubbio..."

Non dice niente. Continua invece a fumare la sua sigaretta osservando luci lontane. L'ha sempre fatto. Ha sempre preferito luci lontane e indistinte a guardare me negli occhi.

"Papà mi ha detto che ti hanno offerto un posto da vice CEO alla filiale di Capital City... congratulazioni".

"Ti ringrazio, ma non è ancora certo. Sto considerando la decisione"

"Come mai?"

"E' un incarico manageriale. A New London posso occuparmi esclusivamente della ricerca"

"Be' ma... tu sei brava a gestire gli altri, no?"


Non mi risponde, la sento solo sospirare, mentre continuo ad osservarle le spalle. Dopo un lungo momento di silenzio, riprendo il discorso, cambiandolo.

"Assurde le storie di Jordan, no?"

"E' un'ottima narratrice".


Ha un tono neutro. Si ferma e riprende a parlare spontaneamente, mentre le sue corde vocali si tendono di disappunto - io ho imparato a riconoscerlo -.

"Seppure non riesca a capire tutto l'entusiasmo che le sue storie provochino. Ha servito in una sala macchine per neanche l'intera durata della guerra. Non era lei a sparare, non si è mai neanche avvicinata ad una persona il cui compito operativo fosse quello di fare effettivamente la guerra. Faceva il meccanico di bordo" e lo dice con un vago disprezzo che posso sentire. Continua a fumare, io sto zitta mentre lei si calma.

"Come va medicina?"
Chiede dopo un po', e quella è la mia battuta d'entrata.

"Così. Alti e bassi - mento, azzardandomi adesso ad avvicinarmi di più, affiancandomi a lei. Continuo a guardare per terra, però, e se non fosse per il freddo probabilmente continuerei a girare attorno alla materia ancora a lungo - ho un problema".

Lei cicca nel posacenere. Mi chiede di dirglielo, senza neanche staccare lo sguardo dall'orizzonte illuminato.

"Io ho... ho fatto una cosa molto stupida, e ora... ora ho bisogno di soldi per risolverla".

Neanche questo attira la sua attenzione. Continua a fumare lentamente, e ogni boccata è un secondo in più in cui mi lascia sospesa sul filo.

"Di cosa si tratta?"

"Di... ho fatto un video. Ti ricordi Edric, l'ho portato lo scorso Capodanno... ci siamo lasciati in modo un po' burrascoso e..."

"Intendi quello che voleva rivoluzionare la videotecnologia?"

"Lui... ora lui ha questo video che avevamo fatto per gioco e... non vuole restituirmelo, a meno che..." e mi sento le guance diventare rosse dall'umiliazione e l'imbarazzo, mentre cerco il suo sguardo senza trovarlo.

"Quanto ti serve?"
taglia corto lei, e io tentenno.

"Venticinquemila dollari. Volevo rivolgermi alle autorità ma... Lane, lo sai come sono mamma e papà, ne morirebbero se venissero a scoprirlo e io..."

"Non ne morirebbero, Nadja. Sicuramente gli dispiacerebbe, ma chi ne uscirebbe più danneggiata saresti tu, e il nome dei Khan".


Mi azzittisco, ben sapendo che se voglio i soldi non devo oppormi, devo lasciarla essere sgradevole come sempre.

"Te li darò, ad una condizione"

"Certo, qualsiasi cosa..."

"Devi smetterla di vedere Deshawn Sun. E' un cercatore d'oro che sa benissimo che, senza la protezione del padre, perderà il lavoro con la rapidità di uno schiocco di dita. Ti sta usando. Non ti affretterei a questa conclusione se il patrimonio minacciato fosse quello dell'intera famiglia, ma la tua leggerezza come al solito è inaccettabile, Nadja"

"Ma Deshawn..."

"Deshawn ti ama, certo. Non mi imbarcherò in una discussione con te, ma se vuoi che ti presti questi soldi, la condizione è questa."

Mi poggio la mano sulla bocca e faccio un passo indietro, tentando di non mettermi a singhiozzare davanti a lei.

"E un'altra cosa: so benissimo che non stai frequentando più medicina. Prima o poi dovrai dirlo anche a papà".

Ricaccio nel petto il groppo che mi sale alla gola mentre la osservo immobile come una statua, lo sguardo vitreo puntato lontano, privo di profondità o di un briciolo di compassione. Vedo i calcoli che montano da sempre il suo cervello spazzando via la possibilità di qualsiasi interazione umana o affettiva. Guardo mia sorella e di lei so tutto: so che ha studiato sempre con successo, che si è distinta in ogni cosa provasse, che è una persona scrupolosa e puntuale, che è un ottimo ingegnere, un ottimo manager, che è in terapia da quando aveva quattordici anni, che i suoi attacchi d'ira sono rari quanto aggressivi, che a differenza mia si è applicata nello studio del pianoforte, che anche il suo culo è gelido come i suoi occhi e che per quanto sia perfetta, per quanto sia impeccabile, per quanto mamma e papà la apprezzino più di qualunque altra persona, è me che amano di più, semplicemente perché amare Declan è impossibile, è frustrante e inutile. Così frustrante e inutile, come quando stai in piedi accanto a lei, la preghi di aiutarti nel momento del bisogno e lei continua a fumare, a non guardarti, come se i tuoi problemi la annoiassero e rassegnassero allo stesso momento. Guardo mia sorella, di cui so tutto, ma l'unica cosa che vedo è un'estranea.

"Puoi pensarci, se vuoi, ma ti prego di darmi una risposta non oltre domani, quando tornerò a New London".

La lascio sul patio e vado a cercare a tentoni il bagno, sottraendole la soddisfazione di vedermi piangere.

17/01/12

Ambientarsi


Ambientarsi, un problema.

Una casa nuova, un ufficio nuovo, nuovi colleghi. Una balbetta, quando parla. Spesso non parla affatto. Tanto da leggere, già finito. Ho recuperato l'ordine sonno-veglia disturbato i primi giorni. Cambiare routine non mi spaventa, quando è densa. La noia, quella mi terrorizza. Thomson, la seconda vice CEO: gradevole, comunicativa, puntuale nel discorso. Bionda. La persona con cui interfacciarsi. Nota mentale: Koroleva - Albany, qualcosa da considerare. Fissare appuntamento, parlarne con la Thomson prima. Shouye: già fatta, stasera. Obblighi sociali necessari che mi hanno costretta ad uscire dall'ufficio. Tempo da recuperare domani: andare prima in ufficio. Koroleva, ancora: incapacità del governo alleato quasi ironica, camera dei rappresentati inconclusiva, Minsk sicuramente sul piede di guerra. Guerra, pensiero che mi lascia indifferente, finché non sulla mia testa. Guerra, Alleanza: Flotta, devo contattare chi è in comando dell'Ottava Flotta per riassumere questioni in sospeso con la sezione Blue Sun: Capital City. Capital City: l'invito della Adams alle Terrazze Verdi. Splendida architettura solo apparentemente asimmetrica. La bellezza della simmetria, quel libro. Devo chiamare mio padre e parlargliene, questa domenica. No, domenica lavoro. Se chiamo a casa Louise vorrà parlare con me e mi consiglierà di chiamare un arredatore per l'appartamento. L'essenzialità mi piace, i muri bianchi e la lucentezza dell'alluminio. Portinaia: devo chiederle di consigliarmi una donna delle pulizie. Voglio sentire l'odore di disinfettante.