29/02/12

La geometria dell'arte


Forse è un po' eccessivo.
Un regalo insolito, però. Forse un po' troppo apologetico per i miei gusti, ma fatto da una mano decisamente esperta. Mi chiedo se sia questo il modo in cui le persone mi vedono: surreale, seduta su un trono e distante, con degli animali feroci a farmi da guardia e lo sfondo della mia vita occupato da numeri privi di senso.

Devo dire che ha toccato una corda di me piuttosto tesa... non il quadro, ma l'idea di farmi protagonista di un quadro. Mi chiedo se sia una coincidenza, o se miss Adams abbia veramente imparato a leggermi. Del resto è il suo lavoro, e sentiva probabilmente di doversi far scusare la presenza inattesa e non voluta di Ratliff all'inaugurazione della BSS1. Aveva ragione.

Il meccanico-ingegnere col browncoat dice che non l'ho sorpreso, e mentre lo diceva sembrava dispiaciuto. Odia Horyzon, è facile dirlo. Eppure sembra cercare una sorta di catarsi, una buona compagnia, qualcuno che lo apprezzi in modo quasi disperato. Deve essere un uomo molto solo. Il fatto che cerchi amichevolezza da me mancandomi quotidianamente di rispetto mi fa rendere conto di quanto sia estraneo al mio mondo. Di come tutto il 'Verse sembri estraneo al mio mondo. E di come, conseguentemente, io debba sembrare estranea a tutto il 'Verse.

Ho preso i biglietti per Adlin Sheng. Uno, cui ne ho aggiunto un altro per invitare anche la Adams. Mi auguro raccolga l'indicazione per ciò che dovrebbe far suonare ai pianisti della casa per la prossima occasione.

E sono quasi sicura che gli occhi di questo quadro mi seguano.

16/02/12

Miss Postma

Ogni mattina mi alzo alle sei in punto.
Dal momento in cui metto i piedi per terra a quello in cui esco di casa, impiego sessanta minuti esatti a farmi una doccia, massaggiare delicatamente i capelli per la durata di due shampoo e un balsamo, asciugarmi, truccarmi, vestirmi, dare da mangiare a Patmore, la mia tartaruga di Withmon, fare colazione mentre ascolto le news alla holo tv. Dalle sette alle otto viaggio: dai sobborghi di Capital City all'isola Di San, dove lavoro, la strada non è facile con i mezzi pubblici, e non è diretta. Faccio due cambi e venti minuti di camminata, l'unico esercizio fisico per il quale ho tempo nella giornata. Sui veloci treni sotterranei di Capital City, leggo sul mio tech-reader i romanzi a puntate di Chinelle Lestrade, seguendo le vicende di un'eroina di Jutòu che, durante la guerra, entra nella Flotta Alleata per andare a combattere su Shadetrack, dove il suo fidanzato è stato dato per disperso. Per quaranta minuti esatti vivo l'avventura di Belle Li, finché non arrivo alla mia fermata e dopo, a piedi, al Blue Sun Building.

Lavoro ai piani alti. Quando ho mandato il curriculum per il lavoro di segretaria della nuova vice CEO della sezione locale della Blue Sun, non pensavo che sarei stata presa: quarant'anni sono molti per entrare nel mondo del lavoro, ero inesperta e con una laurea conseguita quasi due decenni fa. Non mi aspettavo neanche che mi facesse il colloquio la stessa vice CEO. Ma le domande erano semplici: è spostata, ha figli? No, e no. Ha intenzione di sposarsi e avere figli? No. Come mai ha deciso di fare domanda per questo posto? Sono molto organizzata. Amo organizzare. Amo mettere ordine nelle cose. Il mio terapista mi ha consigliato di mettere a frutto i miei... problemi psicologici. E' disposta a fare straordinari, anche fino a tardi, regolarmente retribuiti? Sì.

A quanto pare a Declan Khan non serviva altro. Mi siedo alla mia scrivania alle otto, spendendo trenta minuti a ripassare l'agenda della giornata. Alle otto e trenta in punto, ogni giorno, arriva lei: col suo passo sostenuto che però non tradisce fretta, lo sguardo distante che sembra guardarmi a malapena. Ogni giorno mi ripete le stesse cose: "Buongiorno miss Postma. Ha dormito bene?"

Io le dico: "Buongiorno miss Khan. Molto bene, la ringrazio per l'interessamento".

Allora lei mi dice: "Cosa abbiamo in programma, oggi?"

Io la seguo nel suo ufficio, mentre si sistema, e le recito la sua agenda. Lei mi ascolta appena, settando il controllo della luminosità della parete vetrata che dà sulla città intera. Aspetta che finisca di parlare dandomi le spalle e unendo le mani dietro la schiena. Poi mi dà disposizioni su ciò che devo fare. Può essere: "chiami di nuovo Hall Point per il trasferimento dei corpi", oppure "mi passi sul deck gli indirizzi di tutti i membri del CDA", o anche "tra due ore mi convochi i responsabili del settore vendite nella sala meeting". Io segno tutto rapidamente, e quando ho finito la lunga lista le chiedo: "c'è altro, miss Khan?".

"Sì, non mi disturbi fino alle nove, per cortesia".

E così faccio. Esco chiudendomi la porta alle spalle, lasciandola contemplare Capital City con gli occhi di una tigre che studia la sua preda.

08/02/12

Cosa viene poi?

"Lei sa sempre cosa fare, vero?"


Non proprio, ma mi piacerebbe. Mi piacerebbe, per esempio, sapere come ci si disincrosta da sotto le unghie il sangue seccato, e anche dai polsi, dai palmi delle mani e dall'interno degli avambracci. Ormai alla terza doccia, ho l'impressione che a breve la pelle stessa mi cadrà, ma il sangue mi resterà addoss

Non che mi dispiacqua, tutto sommato: il sangue ha l'odore di una cosa pulita, quasi disinfettata: è un buon odore, e me lo sento fin nelle narici da diverse ore. So che è un condizionamento: mi sono così riempita di sapone che non potrei sentire l'odore di cherosene se me lo spargessi addosso.

Cherosene: un metodo antico ma efficace. Se solo fossi in possesso di uno spazio sufficientemente grande ed isolato, potrei provare alcune cose. Conosco solo il fuoco controllato e innocuo e la progettazione delle esplosioni, senza però aver mai fatto effettivamente brillare niente. Vorrei farlo. Dovrei trovare un posto. Ho bisogno di adrenalina: stasera mi sono spaventata, e allo stesso tempo mi sono sentita viva. Stare di nuovo tra quattro mura sicure, per quanto sicuro possa essere Hall Point, mi fa chiedere se l'ampio ufficio del Blue Sun Building non sia più abbastanza.

Amo il mio lavoro, è chiaro, altrimenti non lo farei. Amo il mio lavoro perché mi consente di applicare le mie capacità, di rendere reali le mie migliori visioni, di essere riconosciuta per strada, di avere una posizione, uno status, un posto a capo tavola e abbastanza soldi da potermi permettere tutto ciò che voglio.

La macchina la uso poco, però. Ho una grande casa in cui torno solo a dormire, la possibilità di viaggiare, ma solo per lavoro. Non che voglia darmi all'avventura: è giusto che le cose abbiano un ordine, che ci sia una gerarchia.

Ma a volte mi fermo e me lo chiedo.

Mi chiedo quanti quintali di esplosivo sarebbero necessari per sfondare un vetro panoramico di uno skyplex, il numero di persone che verrebbero attratte dal completo nulla, perdendosi nell'infinito. Rifletto su quanto tempo sarebbe necessario ad un corpo umano per dissanguarsi del tutto dopo la recisione di un'arteria, fantastico sull'inizio di una nuova guerra che diminuirebbe di un terzo la razza umana, penso alla velocità di diffusione di un incendio cominciato su un pianeta verde in una stagione secca.

L'umanità non è fatta per l'ordine. Come quei tre spadaccini che poche ore fa hanno puntato le spade contro di me, gli uomini non possono fare a meno di chiedersi che significa? Cosa viene poi?

Niente. Alla fine non significa niente, e l'unica cosa che viene poi dipende dal modo in cui si viene seppelliti. Si può bruciare, ci si può seccare in una tomba di marmo o decomporsi rapidamente sotto terra. Ci illudiamo che la vita abbia un ordine, quando l'unica cosa che mantiene veramente le proprie proporzioni è la scienza.

Leggi, etichetta, società, governo, gerarchie: li rispettiamo solo perché siamo abituati, ci fa comodo, è una convenzione, una consuetudine. Ma basta una singola pesona che decida di non rispettarla perché ci crolli tutto addosso.

La vita è solo caos.
Grazie a dio, esiste l'ingegneria.