31/05/13

in sickness and in health



Declan sollevò lo sguardo dal libro quando suo marito, steso in un letto d'ospedale, iniziò a muoversi. Era un libro di carta, di quelli che lui amava collezionare. Non aveva mai capito a fondo il suo feticismo per la stampa vecchio stile, ormai rimasta viva solo nei pianeti del rim e del border più barbaramente arretrati. Lo teneva in mano con fastidio, e dover ogni volta girare le pagine era terribilmente fastidioso. Lo trovava uno spreco di tempo. Quello che stava leggendo, poi, conteneva un romanzo di chissà quale aspirante autore dei mondi esterni, amante dei periodi brevi e diretti. Elementari, avrebbe detto.

Derek Bark aprì gli occhi. Vide, dietro il velo appannato delle cornee, una bella donna con i capelli morbidamente raccolti dietro il capo e un qipao rosso che le lasciava le gambe scoperte dalle ginocchia accavallate in giù. Lei attese qualche minuto prima di rivolgerglisi, seppur ne seguì pazientemente con gli occhi tutto il lento risveglio.

"Come ti senti?"
"Cosa mi hanno dato?"
"Potresti gentilmente rispondermi, prima di porre a tua volta una domanda"
"Declan, ti prego... cosa mi hanno dato?"

Lei rimase in silenzio qualche secondo. Senza cravatta, con gli occhi velati e steso sul lettino dell'Osborne General Hospital di Lòng City, suo marito sembrava un anziano indigente e terribilmente fragile. Lei sentì qualcosa girarle lo stomaco, e lo riconobbe come il modo comune in cui tendeva a manifestarsi il suo orgoglio ferito.

"Hai avuto un infarto miocardico acuto mentre eri in riunione. Sei stato trasportato d'urgenza alla Osborne, dove ti hanno somministrato dei nitrati e dei fibrinolitici. Volevano somministrarti della morfina per il dolore, ma te l'ho fatta sostituire con un analgesico diverso, ricordando della tua allergia. Ho dato poi il consenso per l'angioplastica e avvertito i tuoi figli. Dovrebbero arrivare tra pochi giorni".
"Non avresti dovuto avvertirli"
"Non mi hai mai detto di avere problemi di cuore".

Calò il silenzio, Derek la guardò. Aveva sperato, nella confusione del risveglio, che lei gli avrebbe risparmiato quella discussione, o che avrebbe perlomeno voluto rimandarla.

"Cosa avrei dovuto dirti. Che sono un povero vecchio e morirò prima di te? Devo averti sopravvalutata, se non l'avevi già considerato".

Declan non parve ferita. Si alzò in piedi e chiuse il libro, poggiandolo sulla comoda sedia che l'aveva ospitata per tutto quel tempo. Si avvicinò al letto con calma, il suo passo scandito solo dal rumore dei tacchi.

"Quanto tempo dovrò rimanere qui?"
"Credono una settimana, ma in ogni caso ti farò trasferire domani alla Blue Sun Koreetic Clinic."
"Hai paura che scappi?"
"Abbiamo il migliore reparto di cardiologia del pianeta, e non ho intenzione di lasciarti nelle mani di medici meno che eccellenti"
"Alla Koreetic ci sono liste d'attesa lunghe mesi, Declan"
Lei sollevò appena il capo: "mi offende se credi che queste problematiche plebee si applichino alla mia persona, Derek. Forse mi hai sottovalutata"; l'ironia era sottile e vendicativa, come sempre.

Lui rise debolmente e provò a tirare su il busto. Era una mossa azzardata e affrettata, ma lei non fece niente per fermarlo: lasciò che si rendesse conto da solo di non averne le forze, fissandolo mentre tornava ad accasciarsi dolorante sul letto. Riconobbe nella mollezza della sua postura i muscoli sciolti di un cavallo azzoppato, steso su un fianco, e quasi senza rendersene conto si sorprese a ragionare sulla soluzione più efficiente adoperata con i cavalli zoppi. Non si vergognò dei suoi pensieri neanche quando capì che Derek li avrebbe indovinati.

"Non voglio trattenerti, sicuramente avrai da fare"
"In effetti è così. Domani ho una giornata singolarmente intensa. Ti ho comunque fatto portare due cambi puliti, il tech reader con il nostro archivio completo e tutti i tuoi - sospirò - polverosi libri cartacei. Non credo ti annoierai"
"Sei stata molto premurosa, Declan"
"Tengo fede al contratto" rispose lei con un sorriso morbido. Senza chinarsi su di lui per baciarlo, gli fece un cenno lieve col capo e, come una perfetta sconosciuta, uscì dalla stanza senza guardarsi indietro. Derek ne ascoltò la camminata sostenuta e scandita dal rumore dei tacchi. Cercò nel ritmo del passo un'incertezza, per quanto breve. Ma non si stupì quando non la trovò.



24/03/13

red dress


"L'hai fatto appendere, finalmente"
"Sì. Lo volevo al suo posto per quando verrà a trovarmi"
"Presto?"
"Credo di sì. Credo di piacerle"

Derek rimase sul ciglio dello studio.

"Ci sono poche persone a cui non piaci. Ed è perché le fai sentire a disagio - sorrise - ceni con me stasera?"

Declan sospirò e con un gesto volatile della mano accumulò al lato della visuale le varie olografie, in modo da poter guardare il marito direttamente.

"Volentieri, ma ne ho almeno per un'ora. Puoi prenotare, intanto"
"Pensavo di provare il nuovo ristorante nel distretto Sai-Gi"
"Benissimo, sì"
"Metterai il vestito rosso?"

Declan scosse il capo e rise piano.

"L'ho mandato a lavare, pensavo quello blu scuro"
"Quello nero di velluto?"
"Ti piace di più"
"E' più aderente. Esibire una moglie quasi trent'anni più giovane di me è una delle poche gioie della mia vita..." accentuò il tono fatalista e sospirò in modo teatrale.
"Derek, devo lavorare" lo rimproverò lei divertita, indicandogli eloquentemente la porta.
"Il vestito nero..."
"Fuori"

Declan girò la sedia su cui si trovava di centottanta gradi e alzò lo sguardo sull'holografia parziale che riproduceva interminabilmente una serie di visuali aeree notturne di Koroleva e di Horyzon. Quella sera, indossò uno splendido abito color perla. 

vedute aeree di Koroleva e Horyzon. Regalo di matrimonio di Anya Krushenko e Scott Chaplim

21/03/13

ordinary day


Derek bussò con delicatezza alla porta, poi entrò spingendola con la spalla mentre teneva in equilibro, su un vassoio, due tazze di fine porcellana coperte, sui rispettivi piattini.

Declan guardò oltre l'holo-proiezione centrale al suo ampio studio vuoto, raffigurante i progetti tridimensionali di una classe Hephaestus. Lavorava a una versione ridotta, in grado di esternalizzare più funzioni possibili. Si tolse gli occhiali e li poggiò sul tavolino, osservando suo marito incuriosita.

"Acqua di sorgente proveniente da Greenfield, lasciata riposare un'ora" iniziò l'uomo. Erano le cinque del pomeriggio di Domenica, e indossava gli abiti del polo. Lei aveva deciso di rispettare il giorno di riposo e rimanere a casa, dove poteva lavorare con tranquillità. Pendragon, il grande felino dal mantello violaceo, riposava ai piedi di uno dei divani.

"Portata all'ebollizione - continuò Derek - lasciata poi scendere a novanta gradi. Un cucchiaino di tè colmo per ogni dieci decilitri"
"L'hai fatto fare alla servitù?" chiese lei posata, ironica.
"Esclusivamente con le mie mani. Rimarrai sorpresa" sorrise, poggiò il vassoio sul tavolino e si accomodò tirandosi di poco su i pantaloni. Trovò sul bracciolo il telecomando del proiettore holografico. "Posso?", chiese cordialmente. Declan acconsentì e lui richiamò la proiezione a una serie di opere d'arte disposte in fila.

"Trovo quantomeno ingiusto che mi abbia lasciato il compito di scegliere il resto dell'arredamento" protestò lui pacatamente. 
"Ti ho fatto selezionare un pool di quindici opere da un mio scout di fiducia. Speravo nella tua sensibilità artistica"
"Pressoché nulla, lo sai bene"
"Appunto ho incaricato uno scout". Lei si chinò in avanti e prese una delle due tazze di tè. Tolse il coperchio e lo poggiò, sollevandola tramite il piattino. Ne sentì l'odore, ne prese un sorso, in piedi. Sembrava in effetti ottimamente preparato. "Ho bisogno di prendere in prestito Moore, domani"
"Rothman non si sente bene?"
"E' morto suo padre, gli ho dato due settimane libere per tornare a Meili. Domani faccio i colloqui per il sostituto, ma almeno la mattina mi servirà un autista"
Derek sollevò pensoso gli occhi al cielo. Inguaribilmente ineducato, aveva preso la tazza di tè per il manico, lasciando il piattino sul vassoio. "Serve anche a me, nella mattina. Possiamo accompagnarti al lavoro, però."
"Meraviglioso - accordò la donna - ho una riunione, dovrei riuscire a presentarti Alexander Fay, come mi avevi chiesto - sorrise impercettibilmente - è il mio più diretto concorrente per la promozione al CdA"
Derek annuì moderatamente, quasi distratto: "le sue dichiarazioni sul fallimento della Azaren Inc. sono l'ultima cosa che ci manca per fare uscire l'inchiesta - fece un ultimo sorso al tè, senza assaporarlo - vuoi venire con me al funerale di Aidan Ren?" il tono si era fatto appena più grave.
Declan corrugò delicatamente la fronte: "lo conoscevi?"
"Ho un discreto rapporto di amicizia con suo padre"
"Con Callum Ren?"
"Sì"
Declan ci pensò. "No, non voglio che leghi la mia immagine alla sfortunata dipartita del figlio. Preferirei farmi vedere con lui quando dovrò far credere a Carter che la Ren Technologies mi stia corteggiando". Finì il tè. Quando alzò lo sguardo sul marito, lo trovò particolarmente crucciato.
"Ni hài hao ma?" chiese perplessa.
"Mh. Sì, certo - confermò lui in inglese - sto benissimo - sospirò e si rimise in piedi - vado a farmi una doccia. Ti prego, traimi dalla sofferenza di dover scegliere i quadri" la implorò con garbo.
Declan annuì lievemente e lo lasciò andare via. 

06/03/13

the day every girl dreams of


Era un matrimonio meraviglioso.

Nadja si era ripresa qualche settimana prima e, una volta tanto, si era presentata ad un evento familiare senza un accompagnatore. L'invito scientemente privato del "più uno" aveva fatto la sua parte. In quel momento ballava ridendo con un cugino di secondo grado da parte materna. Dopo il tentato suicidio (ma nessuno osava chiamarlo col suo nome, in famiglia) e il conseguente aborto spontaneo aveva ripreso colore piuttosto rapidamente, seppure apparisse più ossuta dei suoi momenti migliori.

Anche Louise e Alban Khan avevano ballato per un po', almeno finché lui non l'aveva lasciata ad un amico di famiglia. Era tornato al suo tavolo e, fedele al suo carattere burbero e all'umore complicato, era rimasto lì da solo, a scrivere messaggi al suo c-pad come se si stesse occupando di qualcosa di nettamente più importante del matrimonio di sua figlia.

Sua figlia - in un qipao rosso cucito su misura da un'alta sartoria locale e fresca come quando, ore prima, si era celebrata la cerimonia - lo raggiunse con due tazzine di ceramica bianca, piene di baijiu caldo e trasparente. Con un sorriso delicato ne pose una di fronte a suo padre, andandosi a sedere con lui con movimento leggero. 

Declan Khan e suo padre non si parlavano da mesi. La luce dei maestosi lampadari di cristallo intiepidiva il colore azzurro dei loro sguardi affilati e identici. Fu lei a fare il primo sorso di baijiu.

"Sono felice che tu abbia deciso di venire, alla fine."
"Ciò non cambia nulla tra noi"
"Ci dà quantomeno la possibilità di parlare"
"Non c'è niente di cui parlare"
"Io credo di sì".

Parlavano in cinese: per quanto avessero cresciuto le due figlie come bilingue perfette, nelle interazioni domestiche i Khan avevano sempre preferito la lingua di Xinhion all'inglese di New London, considerato spesso troppo impersonale, linguisticamente povero e, a ben vedere, troppo semplice.

"Non posso dirmi certo lieta delle modifiche al tuo testamento. Per qualche tempo ho pensato che la cancellazione del mio nome in favore di quello di Jamie fosse una scelta dettata dal sessismo, poi dalla pietà nei suoi confronti. Più maneggiabile dell'essere disconosciuta come tua figlia, immagino. Ti ringrazio tuttavia per la discrezione adoperata". Suonava calma e leggera.
"Se c'è una cosa che speravo di averti insegnato, Declan, è che nella vita ogni cosa deve essere guadagnata. Anche l'appartenenza a questa famiglia. Soprattutto l'appartenenza a questa famiglia."
Declan sorrise e scosse piano il capo.
"Non faccio che studiare e lavorare da quando sono nata. Non ho mai ottenuto meno dei migliori risultati possibili."
"Dovrei esserne impressionato? Il lavoro intellettuale è facile, per te. Piacevole. L'hai sempre fatto sempre e solo per te stessa. Non ti richiede impegno, non ti richiede fatica."
"E cosa pensi dovrei fare?"
"Rispondere alle chiamate di tua madre, per iniziare. Avere rispetto per ciò che questa famiglia ha costruito e rappresenta da decenni. - assottigliò lo sguardo su di lei. - accogliere tua sorella quando si presenta alla tua porta disperata. O pensavi che non saremmo mai venuti a saperlo?"
Lei distolse lo sguardo, lo indirizzò verso la pista da ballo e sorrise ad un paio di conoscenti sulla linea diretta dei suoi occhi.
"Puoi tenerti la tua eredità, Alban. I soldi, le case, i libri. Tutto ciò che possiedo è mio di diritto. Sono il CEO della sede di Lòng City. Ho appena sposato uno degli uomini più potenti del sistema, e nel giro di sedici mesi sarò eletta alla Board of Directors della Blue Sun. Ho tutto e presto avrò di più. Non voglio niente da te. Solo l'orologio". 

Alban abbassò lo sguardo sul proprio polso sinistro. L'orologio da solo valeva come la sua intera casa. Suo padre l'aveva dato a lui, e suo nonno l'aveva dato a suo padre, e così a ritroso, fino alla prima colonizzazione. Non vi era oggetto al mondo a cui tenesse di più.

"Che tu lo apprezzi o meno, ho spesso tirato Nadja fuori dai guai in cui ama cacciarsi, Alban. Video amatoriali pornografici, taccheggio, fidanzati violenti, debiti, tendenze autolesioniste e suicide."
"Neanche il tuo passato è esemplare, Declan"
"Ma me ne sono sempre occupata da sola, ho fatto attenzione a non lasciarmi nulla dietro. E diciamolo: sono fatta di tutta un'altra pasta. Come pensi che la prenderebbe, lei? - ruotò di poco il capo, allargando l'attenzione alla sorella minore che applaudiva divertita il quartetto d'archi - magari è l'ultima spinta di cui ha bisogno".

La guardò estraneo, col cuore che gli diventava gelido. Chiuse e riaprì le labbra varie volte, ma non gli vennero le parole. Non pensò neanche per un momento che stesse bluffando. Si tolse l'orologio e glielo consegnò.

Lei sorrise. Capovolse la cassa e ne lesse le poche parole in hindi. Diceva: "Gajrup Muthu Khan". L'iniziatore della fortunata stirpe.

"E' il miglior regalo che potessi farmi, papà" disse sorridendo. Si alzò e gli poggiò un affettuoso bacio sulla guancia, a beneficio dei fotografi. Poi andò a ballare con lo sposo.


* * *

Il giorno dopo i novelli sposi presero finalmente possesso della casa. La sera stessa, Derek sedeva già di fronte allo scenografico camino con un maglione poggiato sulle spalle e il tech-reader nelle mani. Leggeva un complicato e avvincente romanzo, ma lo poggiò sul tavolino quando Declan entrò nella stanza.

"Ospiti esemplari - aprì la conversazione - quel tenente dell'ottava flotta appariva un po' cupo, tuttavia"
"Non credo sia abituato a questo tipo di eventi. E' stato promosso a comandante, ad ogni modo"
"Oh, avevi indubbiamente invitati più pittoreschi. - rifletté ad alta voce - la giovane ragazza del rim... Molly Cox?"
Declan sorrise: "temo che costringerla alla presenza sia stata una tortura: mi è sembrava confusa anche sulle posate da utilizzare per ogni portata. Hai avuto modo di parlare da solo con Lars Wolfwood, alla fine?"
"No, purtroppo no, ma credo che per quel progetto consulterò la Shouye di Lòng City"
"Mi sembra una buona scelta: non vogliamo indisporli da subito"
"Siete molto amici?"
"Io e Wolfwood? - chiese lei sistemandosi sulle gambe accavallate il proprio tech-reader - non direi, no. E' un ottimo conversatore, però, e una splendida compagnia. Molto sensibile alle arti e un meraviglioso pianista."
"Temo di essere leggermente carente in materia"
"A dir poco. La tua competenza artistica è paragonabile a quella di una scimmia con un pennello" disse con delicatezza.
"Lo ammetto - confessò rassegnato il marito. - ti ho fatto del tè".

Declan alzò gli occhi dal tech reader al tavolino. Un bicchiere di cristallo pieno di tè fumante era fermo sul tavolino. Sbatté le palpebre due volte di seguito.

"Avevamo finito le tazze?"
"No, ma in un bicchiere ne entra di più - rispose lui con nonchalanche - l'ho già zuccherato"
Declan alzò gli occhi al cielo: "il tè non va dolcificato. Copre il suo sapore naturale"
"Ma non ha nessun sapore naturale"
"Non lo avrà mai se continui a fumare due pacchetti di Ganesha Commercial al giorno"
"Mi tengo vicino al popolo"
"Non posso credere che nessuno ti abbia mai insegnato come si serve il tè"
"Devo travasarlo in uno dei servizi di ceramica che ci hanno regalato?"
"No. Non ne volevo, comunque" rispose lei con sicurezza. Derek rilassò il busto e allargò le braccia sullo schienale del divano.
"You know you're a control freak, right?" le passò distrattamente la punta delle dita sulla schiena.
"Ci farai l'abitudine - gli assicurò divertita. Scorse le dita sul tech-reader aprendo il calendario - direi di sistemare la prossima settimana: mi sarà necessaria la tua presenza la mattina di mercoledì e venerdì sera."
"Prendo l'agenda e sono subito da te". 



20/02/13

contracts and coffee




Declan appose la sua firma digitale e inoltrò l'accordo prematrimoniale a Derek perché facesse lo stesso. Lui lo ricevette sul suo tech reader e lo firmò con un sospiro rassegnato.

"Il tuo avvocato ha spaventato il mio avvocato" segnalò con leggerezza.
"L'ho assunto appositamente per le doti intimidatorie" si sentì rispondere con ironia.

Lui sorrise elegantemente.

"Sbrigati gli obblighi contrattuali, direi di parlare delle altre questioni relative" propose lei.
"Mi sembra giusto"
"Come ti avevo già accennato, farei la cerimonia a in un'area che ho già selezionato e che penso troverai pittoresca, con il rito tradizionale del pianeta"
"Il rosso ti starà splendidamente"
"Il matrimonio sarà un'occasione per cementificare i rapporti d'affari, aprendo ad elementi esterni ad amici e familiari. Non potendo fare una cosa per soli intimi, direi di fare le cose in grande. Duecento invitati a testa?"
"Se ne ho duecento e uno?"
Lei sollevò un sopracciglio. "Duecento e uno invitati a testa, allora."

"In fondo credo che me ne basteranno duecento"

"Bene. Affiderò l'organizzazione alla Casa di Lòng City, in modo da iniziare a costruire i rapporti anche con loro. Tra i miei invitati figureranno vari membri della Casa di Horyzon, per cui ti suggerirei di avere anche dalla tua parte degli individui di uguale rilievo"
"Li divideremo per colore?"
"Scusami?"
"Potremmo dare un badge rosso ai tuoi e uno blu ai miei, e renderlo il tema del matrimonio. Dividere i tavoli con tovaglie blu e tovaglie rosse, le portate..."
Declan sbuffò un sorriso a metà e scosse appena il capo, rassegnata "Ti stai divertendo?"
"Un po'" confessò lui. Si infilò una mano nella giacca ed estrasse una scatolina di velluto blu, che spinse con due dita sul tavolo fino a mettergliela davanti. Osservò con un certo compiacimento il suo modo di prenderla, aprirla e osservarla con un cipiglio analitico e distaccato.
"E' un bell'anello" dovette concedergli. Il diamante koroleviano brillava al centro in maniera non ostentata, sostenuto da una struttura in oro bianco appena asimmetrica ma sobriamente elegante e dal design moderno.
"Guardami, per favore"
Declan lo guardò.
"Ho una certa età, ho fatto parecchie cose in vita mia. Non ti distoglierò dalle tue cose e non verrò meno agli accordi. Ma vorrei che ti divertissi. - ritrattò - che ci divertissimo"
Declan ci pensò qualche istante. Colse l'anello dalla scatolina di velluto e se lo infilò all'anulare sinistro. Le stava alla perfezione.
"Ho fatto fare delle ricerche su di te - si sfilò l'anello abbastanza rapidamente, riponendolo nella scatolina - immagino che tu ne abbia fatte su di me"
"Immagini bene. Vuoi chiedermi cosa ho trovato?"
Lo guardò sollevando appena il mento, con una fierezza elegante. Derek sorrise in modo storto e sfacciato, rispondendo placidamente.
"So che vai in terapia ogni venerdì sera, puntuale come un orologio, il ché mi ha fatto ben sperare sulla tua costanza negli impegni presi. So della tua gioventù burrascosa, so che i tuoi genitori fecero cancellare i tuoi nomi dai verbali riguardanti un incidente in cui un ragazzo rimase ferito con un colpo d'arma da fuoco e che poco più di dieci anni fa sei stata bandita a vita da Maoyi, seppure i motivi siano piuttosto fumosi."
Lei inspirò a fondo.
"C'è altro che dovrei sapere?"
Finse di rifletterci e poi scosse il capo. "No", mentì. 
"Hai pensato alla casa?" continuò lui, ugualmente sciolto. Prese il boiler e riempì due tazze di acqua bollente, lanciandovi poi all'interno due dadi di caffè istantaneo. Mise nel gesto una certa destrezza.
"Ho fatto il tour virtuale della tua, e ho concluso che dovremmo comprarne un'altra. Ho fatto delle ricerche e ne ho selezionate tre che penso facciano al caso nostro. Ti suggerirei di valutare in particolare la seconda: è fatta in un modo che ci permetterà una perfetta divisione degli spazi, pur tenendo un salone, la cucina e il soggiorno in comune"
"Le guarderò questa sera".

Lui spinse la tazza verso di lei con la massima delicatezza. Lei lo guardò in viso appena interrogativa.

"Non ho detto di volere caffè"
"Ne sei sicura? Mi è sembrato che lo volessi..." rispose lui in modo vago, quasi distratto.

Declan lo osservò ancora in silenzio, per un momento lunghissimo. Si alzò in piedi e prese la scatolina di velluto, riponendola nella borsetta.

"Ci riaggiorneremo questa sera sulla casa - decise con la solita asciuttezza - buona giornata, Derek".
"Buona giornata, Declan".

Se ne andò lasciando il caffè esattamente al suo posto.







06/02/13

music is math

[ Al suo ritorno presso la sede di Capital City, Declan ha acquistato grazie alla Shouye un'opera d'arte di una promettente emergente di Corona di discendenza korolevita. Si tratta di un'installazione su quadro semi-olografico, in movimento, con modalità sonora o muta a scelta. Si trova nel suo ufficio, ai piani alti della Blue Sun ]



01/02/13

for I don't love you and never will


Si era già fatta una doccia, asciugata e vestita. Mentre si sistemava il trucco del giorno prima aveva chiamato miss Postma, avvertendo che si sarebbe presa la mattinata libera, e Rothman, per dirgli di andare a prenderla alle nove e trentatré presso il Xù Hotel di Capital City. Ciò le dava circa trenta minuti per fare colazione e sentire il notiziario delle nove. Nella sala da pranzo della splendida sultan suite arredata in rosso e oro, trovò insieme alla colazione Derek Bark, con gli stessi pantaloni di seta che aveva utilizzato per dormire. Evitò di mostrare il disappunto, ma capì subitaneamente che le avrebbe fatto perdere tempo sulla tabella di marcia che si era figurata.

"Hai dormito bene?". Derek le sorrise versando il tè con poca delicatezza. Era solo uno dei molti movimenti di cui non coglieva minimamente la sfumatura rituale, profanandolo con il pragmatismo un po' becero di chi è cresciuto lavorando nello spietato business delle news e poi dell'imprenditoria. Nonostante ciò, l'intenzione era indubbiamente galante. I mix di elementi contrastanti erano sempre piaciuti a Declan, e indubbiamente le piaceva il mix particolare di Bark.

"Ottimamente, ti ringrazio"
"Quanto zucchero nel tè?"
"Senza"

Le passò la tazza soltanto, ignorando totalmente il piattino, che lei si procurò da sola.

"Il disordine ti infastidisce, non è così?"
"Non è così"

Declan sorrise in modo sfuggente, senza guardarlo. Lui invece rimase ad osservarla per un po', con un sorriso storto tagliato sulle labbra sottili. Qualcosa in lei riusciva a mantenerlo costantemente intrigato e partecipe. Si sedettero entrambi.

"Ho una proposta da farti, e vorrei che mantenessi una mentalità il più possibile aperta a riguardo, lasciandomi parlare prima di rispondere"
"Un'altra nuotata con gli squali?"
"Non è ciò che facciamo entrambi da anni?"

Declan sollevò gli occhi su di lui, attenta.

"Come già sicuramente saprai, sono vedovo da circa dieci anni, e i miei figli sono adulti, con famiglie proprie e lavori indipendenti. Conduco una vita attiva e lavoro intensamente, nonostante a questo punto della mia carriera potrei sedermi e passare le giornate a guardare tutto ciò che ho creato arricchirmi fino all'eccesso."

Declan poggiò cautamente la tazza sul piattino, girandola in modo che il manico si trovasse alla sua destra.

"Nonostante ciò, ammetto che talvolta gradirei avere un diverso tipo di compagnia. Negli ultimi anni ho provato ad instaurare relazioni con tipi vari di donne che alla fine si sono rivelate più interessate al mio patrimonio che alla mia compagnia. Come, in parte, è naturale che sia".

Declan prese un respiro profondo. Accavallò le gambe e spinse il busto appena indietro, con l'improvvisa esigenza di allontanarsi da quella conversazione il più rapidamente possibile.

"Ti vedo spaventata"
"Vorrei che arrivassi al punto, Derek"
"Ti sto proponendo di sposarmi."


Lei alzò gli occhi al cielo per ostentare una certa esasperazione. Si alzò in piedi con una certa fretta e diresse verso la porta d'uscita della stanza. Derek sorrise e le andò dietro, mettendosi sulla sua strada. La bloccò afferrandola delicatamente per le spalle. 


"Non mi hai lasciato finire"
"Non ho tempo da perdere dietro queste cose, Derek"
"Permettimi di spiegarti: non ti sto promettendo amore eterno. Ti sto solo chiedendo di sposarmi"

Quel curioso modo di formulare la questione riagganciò la sua attenzione. Alzò gli occhi chiari su di lui, aspettando.

"Cerco una compagnia, Declan. Qualcuno con cui passare piacevolmente il mio poco tempo libero, che mi accompagni agli eventi ufficiali e che non mi crei i problemi alla lunga inevitabili in un tipo di relazione che il resto del mondo definirebbe funzionale. Nessuno di noi due avrebbe obblighi di fedeltà, ma solo di discrezione."

Declan ci pensò un attimo. La razionalità dell'analisi l'aveva in qualche modo messa di nuovo a proprio agio. Inspirò a fondo.

"E io cosa ne guadagnerei?"
"Un terzo dell'eredità che lascerò, e tutti i miei contatti lavorativi."
"Ti aspetti che lasci il mio lavoro a Capital City?"

Derek rise.

"Declan, mi vuoi dire che non hai già puntato il posto di Gentry?"
"Gentry si dimette da CEO di Lòng City. Io sono CEO di Capital City. Perché dovrei volere il suo posto?"
"Perché è più vicino a Carter. E perché il settanta percento di CEO di Lòng City sono stati poi promossi al Board of Directors presieduto da Carter. Ho una villa splendida a Lòng City. Se non ti piace, posso comprarne una più grande."

Declan scosse piano il capo.

"Ho fatto i miei compiti" le assicurò lui.

Rimasero in silenzio per un po', finché non fu lei ad alzare il capo verso di lui.
"Io non ti amo" chiarì con una certa urgenza.

Derek sollevò le spalle. "Neanche io". 
"Non è una cosa che cambierà col tempo: non ti amerò mai"

"La qual cosa un po' mi ferisce, ma - suonava ironico - I can live with it". 

Si umettò le labbra.

"Ho bisogno di un paio di giorni per pensarci"

"Tutto il tempo che vuoi. E ora... - allargò un braccio verso il tavolo - adorerei la tua compagnia per il resto della colazione".

29/01/13

eternal








« Lei cosa farebbe se avesse qualche anno prima del grande viaggio? Che sfizi vorrebbe togliersi? »


« Non saprei. Non ho mai considerato l'eventualità di morire. » ... « la verità è che, compiuti i diciotto anni, ho sempre vissuto esattamente la vita che volevo vivere. Correndo i miei pericoli, scalando i miei grattacieli. Dove sono è dove devo essere, e allo stesso tempo dove voglio stare. Non c'è posto nel 'Verse che preferirei. »


my brother and my sister don't speak to me / 
but I don't blame them / but I don't blame them

22/01/13

the universe we went through


"Non sei impressionata."

Derek Bark lo constatò con elegante rassegnazione. Osservò Declan sorridere divertita sugli spalti vuoti del più grande stadio del pianeta, guardando in maniera piuttosto distratta il campo di pyramid più in basso su cui si giocava un'amichevole tra Capital Titans e Liu Bei Shooters. Alle undici e mezza di sera. Solo per loro. 

"Per curiosità: come li hai convinti a giocare a quest'ora?"
"Il presidente dei Titans è un mio caro amico. Per gli Shooters... ho promesso di comprarli". L'uomo sospirò e si sedette compostamente sul sedile, mentre Declan rimase ancora un po' con i gomiti poggiati sulla balaustra. Indossava uno splendido cappotto nero che le lasciava scoperte le gambe dalle ginocchia in giù, e gli occhi chiari erano resi più intensi da un cenno di trucco più scuro. Si prese qualche istante per osservarla, contando alla rovescia i vari appuntamenti che le aveva strappato fino a quel momento. Prima dello stadio c'era stato l'acquario dove si erano fatti calare in una vasca di squali, protetti da una gabbia in titanio inossidabile. C'era stata prima ancora la serata in cui corruppe abbastanza persone da riuscire a portarla a vedere, a museo chiuso, la migliore fatica del più celebre pittore della pre-colonizzazione: "L'Universo che attraversammo" di Peter Goeble. Le era sembrato di vedere in lei un certo gusto nello sfiorare con le dita la tela nuda, ma nient'altro. Al vero e proprio primo appuntamento, l'aveva portata piuttosto ingenuamente sulla sua barca di quarantasei metri, a fare una romantica cena al largo di Capital City. Aveva scoperto solo più tardi come, nell'allontanarsi dalla costa, lei avesse speso due abbondanti minuti a calcolare tramite il c-pad le coordinate esatte del loro spostamento per poi comunicarle al suo autista. 

"Pazienza: avrei comunque dovuto comprare una squadra di pyramid, prima o poi. E' una delle poche stravaganze da milionario che mi manca" la prese con filosofia. 
"Hai già in mente dove andare la prossima volta?"
"Chi ti ha detto che ci sarà una prossima volta?"

Declan rise senza guardarlo neanche. Andò a sedersi accanto a lui, accavallò le gambe ed estrasse dal cappotto il portasigarette d'argento koroleviano. Se ne prese una e una la offrì a lui. Le accesero con lo stesso zippo. Profumavano di mentolo in maniera delicata, diventando più piacevolmente brucianti nella gola. Lei continuò a guardare con poco interesse la partita, seppur qualcosa negli occhi suggerisse una certa soddisfazione. Derek rimase a guardarla con una certa ostinazione.

"Dovrei riflettere più attentamente sul perché ti lasci importunare da un vecchio come me"
"Deve essere la posizione sociale di rilievo"
"E i soldi"
"Chiaramente, anche i soldi"
"E sono un vecchio tutto sommato ben mantenuto"

Declan voltò il capo e lo passò in esame dalla testa ai piedi, valutando. Dei sessantadue anni che aveva, ne dimostrava qualcuno in meno. Il tempo lo aveva stempiato in maniera ordinata, lasciandogli una fronte molto alta e dei capelli ingrigiti. Le spalle larghe e il fisico slanciato facevano intuire una gioventù passata a praticare il nuoto agonistico, mentre le rughe davano al viso un aspetto solido. In effetti ogni cosa in lui riusciva a dare una sensazione di fermezza, pur senza renderlo duro. Aveva la scioltezza tipica di chi tratta il denaro come un piacevole effetto collaterale del proprio lavoro, senza darsene mai troppa pena. Declan cercava ancora di stabilire se fosse veramente così o se si trattasse soltanto di una posa ben studiata. 

"Dicono che la tua CCN stia per mandare un'inchiesta terremoto sulla Column Electronics"
"Dicono?"
"E' così?"
"Ecco cosa mi era sfuggito: le informazioni..."

Sorrise sfacciato. Era abituato a schivare quel tipo di domande da tempo immemore. Del resto non crei il primo monopolio mediatico del Core senza che qualcuno, presto o tardi, ti chieda qualche piccola anteprima sulle cortex news del giorno dopo. Aveva iniziato dall'informazione: venticinque anni prima Derek Bark era l'anchorman del primo programma cortex di Horyzon. Finché una lite con la produzione l'aveva obbligato a lasciare lo studio e contarsi i soldi in tasca. A quel punto aveva due possibilità: mettere tutto in banca e cercarsi un altro lavoro, oppure investirli. Decise di investirli in attrezzature di holoripresa e in un paio di satelliti in grado di trasmettere a Horyzon, Xinhion e New London. Propose un format innovativo che attrasse numerosi giovani. Iniziarono a lavorare per lui gratis, solo per far parte di ciò che stava costruendo. Il primo giorno di trasmissione fu un fallimento. Il secondo andò meglio. Dopo due mesi di alti e bassi, una docu-inchiesta sulle condizioni di vita su Meili portò un boom di ascolti che accese l'attenzione degli investitori. Nel giro di dieci anni il canale si espanse fino ad acquisire sempre più reti minori, diversificando la sua offerta. Divenne la Central Cortex News. Agli albori 2505 i suoi redattori furono i primi a caldeggiare pubblicamente un intervento armato contro i pianeti del rim che si opponevano all'inevitabile avanzata alleata. La rete cortex venne invasa nel giro di pochi mesi da documentari sui modi barbari e incivili di vivere nel rim, mentre i programmi giornalistici di approfondimento presero a spiegare con logica schiacciante i motivi per cui i rimmer costituivano un pericolo per il quieto vivere del 'Verse intero. Quando nel 2506 scoppiò la guerra, la CCN fu l'unica corporation mediatica a vedersi quasi raddoppiare i finanziamenti statali, mentre il resto dell'informazione e dello spettacolo vedeva bruschi tagli a vantaggio delle spese militari. E mentre il resto del Core si accontentava di pubblicare i bollettini militari giunti dal fronte, la CCN diventò pressoché l'unica ad inviare i suoi giornalisti nelle zone di guerra. Triplicarono lo share, i prezzi delle pubblicità salirono del centotrenta percento. Mentre milioni di soldati morivano al fronte, Derek Bark (che era stato ai suoi tempi uno studente scarso con un voto di laurea mediocre) veniva invitato nelle Università a parlare di news-managing ed etica giornalistica. Finita la guerra, si era ritrovato nelle mani un impero, incorniciato da un'estrema liquidità.


Che amava chiaramente scialacquare.


"Che ne dici di un giro in elicottero sulla città?" propose vago, sedendosi più comodo sul sedile.
"L'ho fatto due settimane fa"

Derek sospirò. Allungò un braccio sullo schienale del sedile di lei, senza per questo toccarle la schiena. Sembravano entrambi rilassati, privi di ingessature. Lei appena più sostenuta, nella maniera che hanno alcune donne per comunicare una certa severità d'intenti. Eppure aveva quel sorriso velato negli occhi. Lui era un uomo abbastanza navigato da riuscire a capire quando le sue attenzioni erano apprezzate, e gli sembrava che Declan Khan non rifiutasse le attenzioni di nessuno. Era al centro del suo mondo e, per qualche motivo, doveva essere profondamente convinta di essere anche al centro del mondo di tutti gli altri.

"C'è qualche città che ti piacerebbe vedere? Qualche megalopoli che ti manca?"
"Ho vissuto in quasi tutte le capitali del Core"
"Quali?"

Lei sollevò appena il mento, osservando senza apparire particolarmente avvinta uno splendido assist, più giù, sul campo.

"Sono nata a Lòng City e ho vissuto a Jutòu fino ai quattordici anni. Ci siamo poi trasferiti su Berishan, ad Afghana. Sono andata a studiare a New London, ho fatto l'internship a Manhattan e sono stata assunta di nuovo a Xinhion. Sono stata trasferita a Capital City per qualche mese, poi assegnata ad un progetto a Sadrany, quindi di nuovo a Capital City. D'estate usavamo andare a Corona, e i miei genitori vivono attualmente a Gandhi."
"Come sono?"
"I miei genitori?"
"Sì."
"Ordinari."

Derek si chiese cosa intendesse Declan Khan per ordinario.

"Lo sono anche io?" impavido. Sorrise anche Declan, ma non rispose alla domanda.

"Sai, potresti semplicemente chiedermi cosa mi piacerebbe fare" osservò, inoppugnabile.

Lui la guardò ancora un po'.

"No. Prima o poi lo troverò" disse senza impazienza. Si accese un'altra sigaretta e tornò a guardare la partita.




"The Universe We Went Through", by Peter Goeble



16/01/13

one year older


Registrazione messaggi vocali.
Segreteria di miss Declan Khan.
Giorno quindici gennaio duemilacinquecentoquindici.
Si prega di lasciare un messaggio dopo il bip.

Bip.

ore 13.43
Pronto, Declan? Sono Louise. Tua madre, ricordi? So che non richiami perché ce l'hai ancora con noi, ma Declan, è passato quasi un anno ormai. Ci sono molte cose di cui vorrei parlarti, e di cui non posso dirti con una cortex wave. Alcuni nostri conoscenti sono morti nell'attentato al Country Club a Saint Andrew, lo sai? Tua sorella non si fa vedere da mesi, e manda solo ogni tanto messaggi sintetici per comunicare che è ancora viva, senza farci sapere dove si trovi o cosa stia facendo. Tua cugina, Jordan, è stata promossa a capitano, ed è il più giovane comandante di vascello donna che la sesta flotta abbia mai nominato. Stiamo costruendo una piscina. Tuo padre è... cupo, e non è più lo stesso da quando ha litigato con te. Non mi ha mai detto che vi siate detti quando è venuto a trovarti, ma non credo che ormai importi di nuovo. Si era un po' illuminato quando Dylan ha ripreso a frequentarlo, ma so che di recente ha avuto una discussione anche con lui, non so bene a che proposito. Mi farebbe piacere se riuscissi a venirci a visitare. Quando vuoi, come sempre. Per favore, richiamami.

ore 14.20
Miss Khan, buon pomeriggio, mi scuso per il disturbo. Mi chiamo Elliot Liebermann Sacks, sono un redattore per Channel Four. Mi sto occupando di un approfondimento scientifico sulle ricerche sulle Intelligenze Artificiali, e mi è giunta voce all'università che la Blue Sun potrebbe avere notizie interessanti da comunicare al pubblico. Mi è stato fatto capire che si è occupata di A.I. già in passato, e sarei davvero felice se potesse concedermi un'intervista, anche non più di un'ora del suo tempo. Attendo notizie dalla sua segretaria, sono disponibile tutta la settimana e posso raggiungerla ovunque su Horyzon. Buon pomeriggio.

ore 15.03
Miss Khan, è la segreteria di mister Jonathan Carter. Come le avevamo anticipato l'appuntamento per la holo-conferenza di tutti i CEO Blue Sun è fissato per giovedì alle ore sette e trenta di mattina, orario di Capital City. Le verrà inoltrato l'ordine del giorno e il modello per la relazione trimestrale delle attività e dei guadagni. Le auguro buona serata.

ore 15.30
Lane, sono Jamie. Senti, ho parlato con tuo padre, e davvero posso garantirti che non sapevo niente del testamento. Mi spiace per la situazione in cui ti sei trovata. Ad ogni modo, ho parlato a lungo con lui e penso che io e te dovremmo vederci e discuterne da adulti. Richiamami.

ore 16.21
Salve, chiamo miss Declan Khan dal Summit Medical Center di Siskiyou, su Horyzon. E' registrata come contatto di emergenza di sua sorella, Nadja Khan. Miss Khan ha ingerito un'eccessiva dose di sonniferi, ieri sera, e ha rischiato di entrare in coma: fortunatamente la donna delle pulizie dell'hotel in cui si trovava l'ha trovata. Adesso è presso il nostro ospedale. E' stata sottoposta ad una lavanda gastrica, ma vorremmo parlare della sua situazione medica con un parente. La prego di richiamarci non appena riceverà il messaggio.

ore 16.35
Miss Khan, la Foster Enterprises si è detta interessata all'acquisto di alcuni spazi pubblicitari lungo la pista della Sky Race, ma l'amministratore delegato richiede di parlarne direttamente con lei. Ha dato la sua disponibilità per domani, ora del tè, presso il Tea Jiuba su Carpathia Square. Mi faccia sapere se devo prendere l'appuntamento.

ore 17.05
Buon pomeriggio, sono il dottor Li. Ho messo nei nostri database le varie valutazioni su tutti i concorrenti che ho avuto modo di visitare fino ad ora. Direi che non ci sono grossi problemi, se non per un mister... uhm, attenda un secondo, dove... eccolo, mister Jason Carr, un chiaro pazzo suicida che ho già segnalato alle autorità come potenzialmente pericoloso. Arrivederla a presto.

ore 18.30
Miss Khan, chiamo di nuovo dal Summit Medical Center di Siskiyou, su Horyzon. Non so se ha ricevuto il nostro precedente messaggio, ma sua sorella Nadja Khan è ricoverata presso il nostro ospedale dopo quello che crediamo esser stato un tentativo di suicidio. La prego di richiamarmi.

ore 18.40
Miss Khan, buonasera, sono il dottor Harberg. Sono veramente mortificato, ma temo di dover cancellare la seduta che avevamo in programma per venerdì sera, sono sorti alcuni problemi personali e... ma se desidera potremmo anticiparla a domani sera, verso diciamo le otto, oppure possiamo metterci d'accordo per la prossima settimana. Mi faccia sapere, e le chiedo ancora scusa. Buona serata.

ore 18.45
Buonasera miss Khan, sono Adeline Gallher, la chiamo dalla casa d'aste Christie's. Vorremmo sapere se sarebbe per lei un problema posticipare la consegna dello shuttle a dopodomani mattina, invece che domani: la compagnia di trasporti a cui ci rivolgiamo sta sperimentando alcune difficoltà di natura tecnica purtroppo insuperabili nel giro di dodici ore. Aspetto una sua gentile risposta, e mi scuso per il disturbo.

ore 20.00
Salve, miss Khan. Le volevo chiedere se per il concerto dell'orchestra sinfonica di Capital City preferisce questo sabato sera o il prossimo, glieli sto prenotando come richiesto. A risentirci, buona serata.

ore 21.01
Declan, buonasera. Sono Derek Bark. Ho la presunzione di pensare che si ricordi di me: ci siamo conosciuti a quello caratteristico locale jazz, ho chiesto il suo numero al nostro amico comune, Daniel Chay. Spero non la consideri un'invadenza da parte mia, ma volevo dirle che mi ha fatto onestamente piacere parlare con lei, e che non mi dispiacerebbe replicare. Sabato sera, diciamo? Ho prenotato in un posto che credo potrebbe piacerle. Attendo una sua conferma.

ore 21.12
Declan, sono sempre mamma. Alla fine mi sono dimenticata di dirti l'unica cosa per cui avevo chiamato: tanti auguri, tesoro.

13/01/13

you think I'm a freak



7 Maggio 2492, Jutòu, Xinhion.

Declan Khan era una bambina di undici anni con la pelle chiara e i capelli rossi tagliati in un caschetto ordinato. A braccia conserte e con lo sguardo assente, attendeva che suo padre uscisse dall'ufficio del preside. Passava gli occhi distrattamente sulla finestra da cui si intravede un prato ordinato, l'erba geneticamente modificata per non crescere mai più di quattro centimetri, seppure l'amministrazione avesse votato a favore dell'acquisto di un tosaerba automatico che la teneva rigorosamente all'altezza di tre virgola cinque centimetri. Il verde erba - un verde erba così erba che neanche l'erba cresciuta spontanea in natura aveva mai avuto quel colore - era incorniciato dal candore maestoso del marmo. La sua scuola era così, di una bellezza artificiale e sofisticata. Un po' come le famiglie dei ragazzi iscritti.

Alban Khan, un metro e novantuno e i capelli ancora neri, uscì dall'ufficio con un'espressione scura e severa incastrata negli occhi. Declan lo seguì in macchina senza dar segno di provare molto interesse per il motivo di quell'umore, e quando entrò nell'abitacolo lo fece sedendosi al posto del passeggero, proprio accanto al guidatore. Iniziarono a parlare solo dopo il settimo chilometro.

"Sono fuori di me, Declan. - esordì piano. Tendeva ad abbassare la voce quando era (appunto) fuori di sé - non ho idea da chi tu possa aver ripreso questo atteggiamento, né chi possa avertelo insegnato."

Declan non parve ferita. Assente, si era poggiata con la tempia contro il finestrino e osservava il paesaggio urbano che scorreva ai lati della macchina, intenta a occupare il tempo contando i pedoni. Novantaquattro. Novantacinque. Non esisteva un angolo di Jutòu che non fosse stracolmo di gente.

"Ciò che hai fatto non ha giustificazioni. Questa tua compagna di classe, Ashanti..."
"Ashani"
"Ashani. I suoi genitori vogliono farti espellere, lo sai? Ti rendi conto di quanto sia grave? Ti rendi conto di ciò che hai fatto?"
"Io non ho fatto niente"
"Non mentirmi!"

Si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sospirò.

"Perché ce l'hai tanto con lei? Santo cielo, Declan: le falsità, la vernice nello shampoo, gli animali morti nell'armadietto..." gli si tagliò la voce nella gola: anche solo a pensarci sentiva il petto stringersi in una morsa.
"Non hanno prove"
"Tutte le ragazzine hanno detto che le hai istigate tu. Che... per dio!"

Alban Khan imprecava con un tale trasporto di rado. La macchina ebbe uno sbalzo lieve di lato, tornando subito in carreggiata. Lui scosse il capo e iniziò la manovra per accostare. A macchina ferma e con un po' di calma recuperata tornò a voltarsi verso la giovanissima figlia.


"Insomma... che ti ha fatto?"


Declan sembrò riluttante. Per un attimo.


"Faccio quello che mi dite voi"


Alban sbatté le palpebre per un attimo senza parole. "Quello che ti diciamo noi?"

"Due anni fa: Declan non fa amicizia, Declan non cerca la compagnia dei suoi coetanei, Declan ha bisogno di socializzare. Stiamo studiando le guerre, a storia. Sai cosa mette insieme i pianeti? I nemici comuni. Prendi un nemico, gli altri si stringono attorno a te contro il nemico comune. Perché devo diventare io come gli altri? Perché gli altri non possono diventare come me?" 

Mentre parlava incassava sempre di più la testa tra le spalle. Aveva le spalle tese, le sopracciglia vicine, gli occhi inquieti di quando si sentiva inadatta. Alban aveva imparato a riconoscere i segni di una crisi prima che scoppiasse. Sospirò a fondo per essere calmo e trasmettere calma. Riportò alla memoria il libro che lo psicologo infantile aveva dato da leggere un anno prima a lui e a sua moglie. Che diceva?

"Declan, noi ti vogliamo bene a pre..."
"A prescindere di tutto. L'ho letto anche io, il concetto chiave nel libro. Pensate che sia strana, che sia un freak. Ma è perché non guardate attentamente. Basta far credere alla gente che sai ciò che stai facendo, e quella ti segue senza batter ciglio. Tutti hanno fatto qualcosa. Il lassativo nel cibo, la vernice nello shampoo, la rana vivisezionata nell'armadietto... io non ho toccato niente. Non ho fatto niente. Vuoi che io diventi come gli altri, perché pensi sia un freak. Guarda adesso: sono tutti come me, sono tutti freak. E' bastato fargli credere che fosse normale."

Non era prima volta che la sua lucidità di vedute lo sorprendeva. Pensò a come articolare una risposta. Ma in realtà non c'era una vera domanda a cui rispondere.

"Noi non pensiamo che tu sia un freak..."
"Non mentirmi!" gli fece eco lei.
"Declan, ascoltami..."
"Non mentirmi!"

Si può dire che Alban Khan non fosse un uomo affettivamente reattivo. Non aveva mai gestito da solo una di quelle crisi e, diciamolo, non era neanche tanto bravo ad evitare che accadessero. Tese le mani verso la ragazzina tentando di afferrarle le braccia, ma ricevette di rimando una scrollata brusca e un grido sorso, continuo, animale. L'ira, tra le proto-emozioni, è forse la più intensa e la più semplice. La vide prendere il possesso di sua figlia, farle battere sul finestrino e farle lanciare il suo zaino contro il parabrezza. La vide prendere a calci il cruscotto e diventare della stessa tonalità dei capelli, e agitarsi in una convulsione irrazionale e disperata, e incontrollabile, e sconvolge, e lui rimase sconvolto e stupefatto dall'idea che un corpo così piccolo potesse contenere tanta voce e tanta rabbia. Non disse niente. La lasciò sfogare per una quantità di tempo indefinita, lunghissima, colmo di orrore. 

Si sentì il cuore in gola. Era una sensazione di cui non si sarebbe mai più liberato.

10/01/13

don't you feel anything? anything at all?



"Sembra turbata"

Declan non rispose. Era in silenzio da diversi minuti, ormai, occupata a guardare il cactus artificiale sul davanzale della finestra di un ampio studio arredato con colori caldi, accoglienti. Il suo terapeuta ticchettò  impercettibilmente i polpastrelli sul bracciolo della poltrona.

"E' pelle sintetica"

Il terapeuta sollevò le sopracciglia. Ci mise un po' a capire che si riferiva alla poltrona.

"Immagino di sì..."
"In verità ogni cosa è sintetica, nei mondi non rurali. Se non sintetica, artificiale. Quello... - puntò con delicatezza un indice sottile verso il cactus - è un essere vivente. Ha bisogno di acqua, anche se raramente, e luce solare, altrimenti morirebbe. Allo stesso tempo è artificiale, perché non è nato naturalmente. La loro versione originale nelle sue condizioni naturali fiorisce, lascia i semi... si riproduce così. Questi non sono in grado di riprodursi, né di fiorire. Sono viventi, ma vengono creati in provetta e cresciuti in serre dove anche i terreni sono sintetizzati chimicamente. I concimi, poi, chiaramente."
"Cosa intende dire?"

Declan scosse leggermente il capo. Rimase a guardare il cactus per un po', poi distolse lo sguardo.

"Viviamo in un mondo artificiale, tutti noi. Non c'è niente che sia nato in natura. Non un albero dell'Unification Park, non una pianta delle terrazze verdi né un animale dei suoi parchi biologici. Siamo noi a crearli, noi abbiamo creato la scienza che ci permette di popolare i nostri giardini con insetti, microbi, funghi quasi reali, quasi funzionanti come gli originali. Potrei uscire da qui, camminare per ore da un capo all'altro della città e non trovare una singola cosa che sia nata in natura. Abbiamo fatto tutto noi, ma per qualche motivo oggi preferiamo il cibo naturale, la carne strappata dalle ossa di un agnello cresciuto interamente in un utero naturale e venuto al mondo tramite parto tradizionale. Cosa c'è di tanto meraviglioso? Cosa c'è di tanto apprezzabile nell'essere in balìa delle carestie e degli umori della natura? O nell'essere in balìa di tempeste emotive che annullano ogni forma di razionalità?"
"Spesso non è una scelta, miss Khan. Dominare le emozioni è qualcosa che poche persone sono in grado di fare: sono qualcosa di dirompente, totalizzante. Lei... può immaginarlo?"

Declan rise piano, amareggiata, e scosse appena il capo.

"Posso fumare?"
"Sì, certo. Attivi il depuratore, però"

Attivò il depuratore e poi si accese la sigaretta.

"Mio padre ha deciso di diseredarmi"
"..."
"E' una notizia recente. La mia parte andrà al figlio del fratello defunto di mio padre. Un giovane idealista sagace e impaziente, che vive nei sobborghi di Capital City in un monolocale che puzza di sigarette economiche"
"Perché pensa che abbia preso questa decisione? Da ciò che mi aveva detto, la situazione tra voi due non appariva così... drastica"
"A quanto pare lo è a sufficienza da farmi disconoscere come figlia"
"Non penso sia quello che stia facendo. Ha considerato che suo cugino potrebbe aver bisogno dell'eredità più di lei? Forse suo padre ha considerato che lei non avrà bisogno, in futuro, di quei soldi"
"Non sono solo soldi. Si tratta delle case, del patrimonio. Conosco ciò che mi spetta... che mi spetterebbe. Abbiamo dodicimila libri digitali, settecentottantasei volumi cartacei di valore inestimabile. Un orologio da polso risalente alla prima colonizzazione, passato da padre in figlio per cinque secoli. Sono la prima primogenita Khan che non lo avrà. E' una scelta molto personale... è ovvio. Non mi considera più parte della famiglia"

Continuò a fumare. In maniera del tutto inspiegabile, le fece male la testa. L'ultima volta che si era ammalata era stato sei anni prima.

"Immagino lei abbia un'idea di ciò che suo padre disapprova di lei..."
"Mio padre disapprova me. In un certo senso, è quasi liberatorio vedere come l'abbia riconosciuto a scanso di ogni possibile equivoco. Non approva il lavoro che ho scelto. Non capisce il mio modo di vedere le cose, né come..."
"Vada avanti"
"Ho un'ottima memoria"

"Lo so"
"Provarono a farmi diagnosticare l'Asperger, quando avevo sei anni. Quando l'esito fu negativo sembrò quasi insoddisfatto. Come se non riuscisse a capacitarsi di come potessi stare bene, eppure essere così. Allora avevo bisogno di precisione, di ordine. Uscire anche il minimo dalla routine mi faceva avere attacchi di rabbia. Una volta tirai una mazza da polo contro una finestra, in villeggiatura a Corona. Quando nacque Nadja, non mi lasciavano mai sola con lei. Mi hanno fatto credere per tutta una vita che avessi un difetto di fabbrica. Sono dovuta crescere per capire che potevo sfruttarlo, che era ciò che mi avrebbe concesso di arrivare più in alto degli altri. Che non avevo necessità di sentirmi mortificata, solo perché ero diversa"
"Capita che ci diciamo di essere diversi per giustificare una serie di comportamenti non funzionali mentre..."
"No, lei..."
"... mentre invece è solo un modo per negare che richiedono la nostra pazienza e il nostro lavoro per essere modificati"

Declan scosse il capo con più vigore, sfiorandosi la fronte con due dita e ridendo piano.

"No, lei non capisce: sono diversa. Il mio cervello funziona diversamente. Le connessioni tra l'amigdala e la corteccia prefrontale ventromediale sono in quantità minore rispetto allo standard. Sono differenze strutturali e funzionali. Faccio uno scan totale ogni anno da quando ho scoperto che fosse possibile. Non sono malata. Non ho niente di disfunzionale. Sono strutturalmente migliore."
"Lei... ritiene di non avere niente che non va, miss Khan?"
"Esattamente"
"Dice di non ritenersi malata, ma di ritenersi perfettamente funzionale. Sana."
"Sì"
"Mi permetta una domanda"
"Chieda pure"
"Lei segue la terapia ormai da circa... venti anni"
"E' corretto"
"... 
Perchè?"

07/01/13

Jamie (2)


Al sesto piano di un grigio palazzo dei sobborghi più periferici di Capital City, Dylan Jamison Khan dormiva in un letto a muro con un piede sfondato, infilato tra delle lenzuola che non lavava da un mese abbondante e calato in un sonno profondo. L'ostinato trillare del campanello lo trovò vestito sotto le coperte, seppur senza cintura e con la camicia tutta sgualcita. Raggiunse la porta imprecando a mezza voce contro chiunque lo stesse disturbando alle undici di domenica mattina ma, quando occhieggiò dallo spioncino, rimase onestamente perplesso. 

Dall'altra parte c'era Declan Khan. Lei stessa aveva dovuto scavalcare un paio di ostacoli lungo il cammino - nella fattispecie due bambini lerci che giocavano nel bel mezzo del corridoio come cani sciolti -, e ora era ritta davanti alla porta nel suo bel cappotto grigio antracite e con le mani giunte davanti al ventre, in stoica e paziente attesa. Quando Dylan aprì la porta, sbattendo le palpebre un po' incredulo, lei gli sorrise.

Dylan aveva trent'anni, ma a parte un filo di barba sfatta era identico a dieci anni prima, più o meno l'ultima volta in cui lui e sua cugina si erano visti. I capelli di un nero lucido erano della madre, mentre gli occhi azzurri e la linea del viso che si stringeva all'altezza del mento testimoniavano i caratteri genetici dominanti dei Khan.  

"Posso entrare?"

Il ragazzo fece un passo di lato e allargò platealmente un braccio, invitandola ad accomodarsi. Non era tipo da imbarazzarsi per il proprio disordine, ma con il tallone spinse sotto divano un paio di mutande randagio. 

"Ti sei trovato un posto... caratteristico"

Chiaramente era un eufemismo. Innanzi tutto, era un monolocale. In secondo luogo, era tutt'altro che luminoso, e aveva un fastidioso odore di chiuso. Infine, il quartiere era noto per essere quello a più alto tasso di criminalità di tutta la città. Si sarebbe detto che il co-autore di uno dei programmi di informazione più celebri nella regione avrebbe dovuto riuscire a concedersi un posto quantomeno decente, ma lui voleva essere così: tutti quelli che l'avevano conosciuto un po' lo sapevano. In fondo, anche Declan.

"Posso offrirti qualcosa? - chiese lui guardandola con un disagio piuttosto vago. Ricevette un sorriso che sottintendeva come non avrebbe mai accettato niente che si fosse trovato in quella casa. Si passò una mano sulla faccia e tirò su col naso, ancora onestamente assonnato - non ci vediamo da un po', no?"

"Ultimamente recuperare rapporti familiari con persone in grado di notare l'ovvio sembra il leitmotif della mia esistenza" commentò lei con una delicatezza poco interessata. Analizzò il monolocale con attenzione, quindi selezionò una sedia accettabile e vi si accomodò a gambe incrociate, rilassando i muscoli. Diede a Dylan la possibilità di studiarla per un po'. Era una donna diversa da quella che ricordava, almeno in superficie: così come in gioventù appariva sempre fuori posto, adesso il giovane Khan notava una serie di movimenti e rituali atti a mettersi prepotentemente a proprio agio anche in un ambiente che doveva sembrarle così terribilmente ostile. La capacità di osservare... forse anche quella era un tratto genetico. Nonostante ciò, continuava a navigare perduto tra sonno e ignoranza: che ci faceva a casa sua?

"Allora. Come te la passi, Jamie?"

"Mh... - sorrise in maniera sfuggente, arricciando perlopiù le labbra di lato. Non era molto alto, e nessuno l'avrebbe definito propriamente bello: sembrava quasi che la pelle gli si tendesse su ossa troppo grandi, adatte a sostenere un peso ben maggiore dei suoi settantatré chili scarsi. Nonostante ciò, aveva qualcosa. Si avvicinò a un quadrato di scrivania addossata contro un muro coperto di ritagli di articoli e foto, collegati tra loro con fili sottili, di colori diversi. Cercò tra le carte. - gli unici che mi chiamano ancora Jamie siete tuo padre e... voi, della famiglia. Della famiglia di papà - trasse una sigaretta sgualcita e se la infilò tra le labbra, ciancicando una risposta mentre l'accendeva - sto bene, grazie. Lo dico ad un sacco di gente, ultimamente"

"Sì, ho saputo di Darcey. Le mie condoglianze. Te le avrei fatte prima, se ne fossi stata a conoscenza"

"Ne sono sicuro. Alban mi ha detto della vostra lite"

Diretto come un treno, tanto da farle sollevare le sopracciglia in un moto di sorpresa molto lieve, che a lui non sfuggì. Uscire dagli schemi era la sua attività preferita fin da bambino. Ne traeva una gioia pulita e infantile, ed era la qualità che lo rendeva un ottimo giornalista così come un pessimo sottoposto: l'unica cosa certa era che Dylan Khan non avrebbe mai fatto ciò che da lui ci si aspettava. Giocare d'anticipo con lui era impossibile, vedere oltre le sue azioni anche. Dietro il viso chiaro da adolescente si celava l'imperscrutabilità scritta nei suoi geni, combattuta ogni giorno da qualcos'altro, qualcosa di arrogantemente affascinante. Declan lo osservò espirare il fumo e guardarla in attesa impaziente, chiedendosi che cosa fosse.

"Cosa ci fai qui, Lane?"

Declan sorrise. Composta, già a proprio agio, guardava il suo interlocutore con un'aggressività feroce ed elegante. "Tu e Nadja siete gli unici a chiamarmi Lane. - l'eco di lui poco prima - la domanda esatta sarebbe cosa ci fai tu, Jamie. Sparisci per anni mandando solo holo-auguri per l'Exodus Day, ma torni non appena vengo - assottigliò lo sguardo - scortesemente invitata a non presentarmi più nella dimora paterna. Stai circuendo mio padre?"

Ne studiò attentamente l'espressione del viso: lo sconcerto sembrava genuino. Come una tigre appostata dietro i cespugli, Declan sembrava pronta ad afferrargli la giugulare tra i denti. Voleva dare l'impressione di essere a caccia. Dylan colse come, invece, stava proteggendo il territorio che considerava suo.

"Circuendo tuo padre...?" scandì cautamente.

"Non fingere con me, Jamie"

"Non so di cosa tu stia parlando"

Scrollò mezza sigaretta nel posacenere, più o meno: non lo guardò e lo mancò di buone due dita senza nemmeno rendersene conto. Il monolocale era così angusto che il fumo l'aveva già riempito. Lei non ne apparve infastidita.

"Non sai niente del testamento" si assicurò lei, scettica.

"Quale testamento, Lane?"

Notò in lui qualcosa di particolare, una vibrazione sotto i muscoli delle spalle infastidita. Ripercorse a mente le proprie parole con la precisione di una registrazione. Era una reazione alla parola testamento. Valutò le variabili, valutò l'inclinazione delle sue labbra e quanto le palpebre si fossero assottigliate. Aveva avuto un moto di stizza. E ad un certo punto le fu chiaro in cosa risedesse il fascino di Dylan: era un idealista. Accennare a qualcosa di tanto venale come un testamento lo aveva irrigidito come se fosse alle sue orecchie qualcosa di repulsivo. Quella sfacciataggine adolescenziale che si portava addosso era quella di qualcuno convinto che nell'universo esistano ancora valori assoluti, un bene supremo da servire, un destino personale da compiere.

Mentre ancora lui la osservava, Declan si alzò in piedi con grazia e si sistemò il cappotto. Senza aggiungere altro uscì dalla porta di casa sul corridoio, superò i due bambini lerci ancora occupati ad intrattenersi con giocattoli rotti, e tornò senza fretta in strada, dove il suo autista la aspettava.


06/01/13

Jamie



Oppilana Nerhu era una donna sui trentacinque anni ancora attraente, con fianchi e seni ampi che stringeva in abiti aderenti di tessuti spessi. Si era laureata senza lode in giurisprudenza, e si diceva che a breve sarebbe diventata socia di un piccolo studio legale per cui lavorava ormai da anni, specializzato perlopiù in divorzi milionari e cause sull'eredità. Aveva chiamato Declan più volte prima di riuscire a strapparle un appuntamento, e adesso la guardava con un sorriso tenue affacciato da dietro il menu rilegato che fingeva di sfogliare. 

"Mi spiace di non poterti dedicare più tempo, purtroppo ho solo quaranta minuti prima di un appuntamento di lavoro - a Declan piaceva chiarire le cose subito. Per qualche motivo in famiglia si credeva che lei e Oppilana avessero un rapporto speciale, ma non era così. Si limitavano ad aggiornarsi alle cene di famiglia sui movimenti dell'alta società del Core: una serie di informazioni che le erano estremamente utili per pianificare i rapporti con quella stessa alta società di cui il suo prestigio non poteva fare a meno - la tua chiamata mi ha sorpreso: non ci vediamo da molto"

"Ed era ora di vederci, non trovi? - Oppilana poggiò il menu sul tavolo, evidentemente poco interessata. Aveva larghi occhi neri e capelli color cioccolato sciolti sulle spalle in maniera un po' disordinata, ma sensualmente affascinante - ho visto tuo padre di recente, e mi ha detto che non ti sente da un po'."

"E così - rispose Declan senza problemi, ignorando la cameriera che attendeva disperatamente un suo cenno per avvicinarsi - il lavoro mi tiene molto impegnata, e un viaggio a Gandhi è qualcosa che non posso permettermi: ho tempi piuttosto stretti, scadenze serrate..." lasciò sfumare la frase in altre scuse poco fantasiose, pronunciate con nessuna convinzione.

"Anche Nadja è scomparsa da un po', da qualche mese. O meglio, non torna a casa, mentre non si fa sentire da un paio di settimane. Per caso l'hai sentita?"

Declan sollevò appena le sopracciglia, sospirò e scosse lievemente il capo: "non ne so niente - rispose, incapace di nascondere una certa impazienza - mi hai contattato per chiedermi di Nadja?"

Oppilana pose fine alle sofferenze della cameriera, richiamandola a sé con un gesto. Ordinò semplicemente un tè, e Declan fece lo stesso. 

"Tuo padre mi ha chiesto di non dirtelo, Declan, ma credo che dovresti saperlo. - era evidentemente riluttante - ti ricordi di Dylan?"

Ovviamente si ricordava. Non lo vedeva da anni, ma l'immagine di un ragazzo dal fisico sottile e nervoso le tornò alla mente chiara anche nei più minimi dettagli. Dylan Jamison Khan era suo cugino di primo grado, per l'esattezza il figlio del fratello di suo padre: Jamison Khan Senior. Jamison era morto quando il suo unico figlio aveva solo sette anni e, da quel momento per diversi anni a venire, Dylan (o Jamie come veniva più comunemente chiamato in famiglia in memoria di suo padre) iniziò a passare i lunghi mesi delle vacanze estive nella casa di Corona dei Khan, insieme a lei e a sua sorella. Era di quattro anni più piccolo di lei e aveva legato perlopiù con Nadja, ma si sarebbe potuto dire che erano cresciuti insieme. Poi era andato a studiare letteratura moderna e si era ritrovato a fare il giornalista, e da quel momento le sue visite si erano fatte più rade, seppur continuasse a mantenere un fitto rapporto epistolare con Alban, che parlava di lui sempre con un certo orgoglio, come se fosse figlio suo - in un certo senso a ben vedere lo era -.

"Ovviamente. Cosa sta facendo adesso?"



"Pare che adesso scriva quel programma di informazione di Cortex Channel Five... First Hour. - rispose Oppilana piano - e ha ripreso a farsi vedere alle cene di famiglia, anche. Da quando sua madre è morta..."


"Darcey è morta?"

Ne rimase abbastanza sorpresa. Vide sua cugina annuire in maniera ostentatamente contrita, come chi non ha sentimenti autentici. Declan considerò che non sapeva fingere bene, e piuttosto che lanciarsi in un'esibizione di quel calibro si limitò a prenderne atto con un gesto lieve del capo, mostrando il grado di interesse assai basso che quella notizia le suscitava dopo il primo impatto. Ricordò di Darcey il cognome - Owle -, i capelli di un nero brillante e i modi sfuggenti, come se fosse perennemente intimidita dalla compagnia della famiglia del defunto marito.

"Porta pure a Dylan le mie condoglianze" disse Declan in tono conclusivo, credendo la questione finita.

"Non è di questo che volevo parlarti - la ripigliò al volo Oppilana - ma di ciò di cui ho parlato con tuo padre. In verità, è stato lui a chiamarmi, per un consulto professionale"

Declan aggrottò le sopracciglia, ma non la interruppe.

"Tuo padre sta avviando le pratiche per estrometterti dal suo testamento, Declan, nominando lui come suo erede sostitutivo. Da me voleva sapere quali escamotage legali avresti potuto eventualmente trovare dopo la sua morte, in modo da renderle impossibili... un paio di settimane fa ha visto uno psichiatra per farsi rilasciare un documento ufficiale che lo dichiari capace di intendere e di volere"

Declan aprì bene gli occhi, perplessa e stupita. Serrò le labbra e respirò a fondo. Sul tavolo arrivarono i due tè, ma neanche il servizio invadente della cameriera poté distrarla dalla notizia.

"Nadja...?" chiese un attimo dopo, con una certa urgenza.


"Resta come prima, per lei: erediterà metà"

Sembrava sconvolta, per quanto sconvolta riuscisse a sembrare. Rilassò il busto sullo schienale della sedia e iniziò a ticchettare lentamente con le dita sul tavolo. Guardò fuori l'ampia vetrata che dava su Capital City, evidentemente sovrappensiero.

"Dove vive, adesso?"

"Dylan?"

"Sì"


Oppilana sospirò appena. Andò a cercare nella borsa e tirò fuori un biglietto di carta - le piacevano particolarmente gli strumenti analogici e desueti da quando, a vent'anni, aveva fatto una splendida vacanza a Greenfield -. Porse il biglietto a Declan, che lo prese. Era l'indirizzo di un sobborgo di Capital City. Declan ringraziò e pagò il conto. Tornò alla macchina contando a mente a quanto corrispondesse il valore di Dylan Jamison Khan agli occhi di suo padre.

the train job



Due donne eleganti, vestite di nero, siedono al tavolo di un locale interrato dall'aria fumosa, satura di musica. Hanno occhi azzurri, polsi sottili e bicchieri di whisky con ghiaccio. Una ha i capelli rossi, l'altra è bionda.


Un vagone sfreccia sui binari. Sulle rotaie vi sono cinque persone immobilizzate, che non possono scappare. C'è uno scambio che può azionare, e che devierà il vagone su un'altra rotaia. Ad un prezzo, però: sull'altra rotaia si trova una persona sola, ugualmente immobilizzata, ugualmente impossibilitata a scappare. Non ha modo di fermare il treno, non ha modo di salvare tutti, non ha modo di intervenire se non spostando quella leva. La azionerebbe? 
E' un gioco che serve a etichettarti come maniaco assassino se rispondi no e come sempliciotto se rispondi di sì.  
Non proprio: è uno studio condotto a campione. Circa il novantadue virgola sei percento delle persone sottoposte al test risponde che azionerebbe la leva. Il processo interessante avviene nel secondo step del test, quando viene posto un dilemma simile, ma in forma diversa. C'è sempre il vagone, ci sono ancora le cinque persone bloccate. Questa volta lei si trova su un ponte sopra la rotaia, insieme ad una persona. Può decidere spingere di sotto quella persona, che col suo corpo frenerebbe l'avanzare del treno, ma morirebbe. Oppure può non fare niente, e lasciare le cinque persone morire. 
Il novantatré percento. Immagino che per il novantatré percento delle persone attribuisca un peso maggiore alla morte del singolo se si tratta di causarla direttamente.  
Non il novantatré percento, ma la spiccata maggioranza, sì. E' interessante, non trova? La prova che l'empatia non è uniforme come tendiamo a considerarla, ma è anzi quantomeno variabile. Se non propriamente schizofrenica. 
Niente di nuovo. E' facile uccidere centinaia di migliaia di persone restando oltre un vetro in una sala comandi. Ucciderne una sola sentendo il suo respiro fermarsi... è tutta un'altra cosa. Rende le dimensioni della faccenda. Siamo ridicoli. Noi umani. 
 Lei cosa farebbe?  
E' rilevante? Si tratterebbe comunque di sacrificare qualcuno. Non c'è differenza. Lei?  
Quindi lei non pensa che la vita di cinque persone valga più di quella di una sola? 
Cinque persone sono una, e una, e una, e una e ancora una.  Parliamo di quantità, di qualità? Come si fa a decidere chi merita di vivere e chi merita di morire? 
Allora lei non farebbe nulla, in nessuno dei due casi.  
Non l'ho mai detto. 
Immagino dipenda dallo schema di valori a cui si vuole far riferimento. Qualcuno comparerebbe l'età, altri la funzione nel gruppo familiare, altri ancora nel gruppo sociale più ampio. 
Roba da perderci la testa.  
Dice? Alla fine si riduce tutto ad un semplice calcolo. Anche nella matematica bisogna decidere a che modello fare riferimento, del resto. 
Si riduce tutto a cercare di agire per il meglio. E il meglio può richiedere di scegliere, adottare e cambiare modelli in base alle circostanze. Chi lo sa. Mi augurerei di non trovarmi mai in una situazione del genere.  
E il meglio non è un modello anch'esso? Quanto varia da persona a persona? Si tratta comunque di fare una decisione basandosi su un dogma. O no? 
Oh. Immagino molto. Per un alleato il meglio è bombardare Shadetrack per portare la civiltà. Per un terrorista il meglio è massacrare corer a St Andrews. Credo sia tutto relativo. Dipende dalla sensibilità, dal substrato culturale, dall'elasticità mentale, dal vissuto. Io probabilmente farei qualche rapido calcolo prima di decidere se azionare la leva o meno. Deciderei che cosa è meglio sulla base di valutazioni matematiche. Un'altra persona potrebbe basarsi sulla propria sensibilità, sul... concetto di empatia di cui parlava prima. Azionare la leva. Ma se poi per le condizioni contingenti il convoglio si ribalta, finisce sull'altro binario, uccide anche gli altri cinque?  
Ma la scelta è tra due opzioni nette, pulite. Cercare imprevisti è una forma di indecisione.  
La realtà non è mai netta, pulita. La vita reale è piena di variabili impreviste.  
Eppure la vita reale ha un netto vantaggio sulla matematica, non trova? Le variabili della nostra esistenza sono sempre e solo quelle che noi accettiamo in essa. 
Non mi ha ancora detto che cosa farebbe lei.  
 Io deciderei chi merita di vivere. 
Chi, nella fattispecie?  
Il più utile