24/01/12

Nadja

31 Dicembre 2513.

La mia vita è un casino. Quando nasci nei grattacieli di Jutòu il tuo destino è scritto, la strada precisa, se poi non è quella che fa per te problemi tuoi. Ti mettono il cognome Khan, ti danno un IdN e la tua vita te la puoi vedere davanti, è un percorso già tracciato e camminato così tanto che il suolo si è consumato. E ogni volta che ci riuniamo con tutta la famiglia, tutti i Khan da una parte e tutti Nerhu dall'altra, ho la netta sensazione di essere l'unica a rifiutarsi di camminare.

Mi hanno cacciato da medicina. L'ho detto a mamma, ma sto aspettando un momento migliore per dirlo a papà. Sto aspettando un momento migliore anche per dir loro che vorrei fare qualcosa di diverso nella mia vita, anche se ho ventisei anni e devo ancora decidere bene cosa. L'umiliazione sarà la solita. La prima volta che la provai fu quando mi rifiutai di imparare il solfeggio e dissi loro che non avrei più voluto suonare il pianoforte. Continuavano a ripetermi "l'hai scelto tu", ma io guardandolo pensavo fosse più facile.

Non è il peggiore dei miei problemi, al momento.

Sono anche ingrassata. Ho fatto fatica ad infilarmi nel vestito, oggi, e anche se nessuno sembra accorgersene ho le gambe più gonfie del solito e i tacchi che mi fanno male. Quando mi alzo, per fortuna, c'è Deshawn che mi porge il braccio e mi sostiene. Gli sorrido e lo bacio sulla guancia, dicendogli per fortuna che ci sei tu. Quando ho annunciato che l'avrei portato, papà ha fatto lo sguardo solito. So bene cosa pensa, tutta la famiglia: che ne porto uno diverso ad ogni occasione, che non so tenermi un uomo, che sono una testamatta. Fino ad ora, forse, ma con Deshawn è tutto diverso: lui è sincero.


Ci spostiamo dal divano al tavolo quando ormai è tempo di cenare. Siamo dislocati nella sezione giovanissimi, dove vengono posizionati tutti quelli che non contribuiscono economicamente, scientificamente o tecnologicamente al miglioramento del 'Verse. Rinuncio a parlare con gli adulti e passo i primi minuti a parlare con Deshawn, almeno finché Jordan, come sempre, non attira l'attenzione. La osservo chiedendomi come faccia ad avere la pelle così abbronzata e il seno così grosso. E' poco più grande di me, più o meno come mia sorella. Ma non ha niente a che spartire, con lei: è una narratrice nata, e ogni suo racconto è più interessante del precedente... è perché ha fatto la guerra su un incrociatore della marina alleata. Sospiro, considerando che forse avrei dovuto arruolarmi anche io, quando ancora facevo in tempo. E mentre Jordan catalizza lo sguardo ammirato di tutti i presenti a tavola, compreso il mio, mi chiedo se con le sue storie e il suo carisma mi sarei guadagnata anche io un posto al tavolo degli adulti.

Mi alzo dopo il secondo un attimo dopo mia sorella, con la scusa dell'andare ad incipriarmi il naso. Poggio un bacio sulla guancia di Deshawn, sussurrandogli all'orecchio cosa faremo più tardi, a festa finita. Lui sorride con quel bel sorriso bianco che ha, scuote il capo con tutto il suo infinito charme e ho l'impressione per un attimo che possa diventare l'uomo della mia vita. Ma non ho tempo per pensarci, adesso: esco dalla sala principale, sapendo benissimo dove andare.

Esco sul patio. Declan, dopo aver previdentemente indossato il cappotto - a differenza mia - sta fumando mentre guarda lo skyline di Gandhi.

"La sigaretta di capodanno?" chiedo, tentando di usare un tono che sia leggero, mentre mi stringo le braccia sotto il petto rabbrividendo. Lei si volta verso di me lentamente, rivolgendomi lo stesso sguardo distante che aveva anche da bambina e che fin da bambina mi faceva sentire un'estranea.

"Già - risponde solamente, tornando a guardare davanti a sé - Deshawn sembra un uomo ben educato"

"Ti ringrazio"

"Non è il figlio di Shamanon Sun, il socio dello studio legale Ronsom&Tatcher, di Lòng City?"

"Proprio lui"

"Ho sentito che suo padre è stato trovato colpevole di spionaggio aziendale... rischia di perdere tutto".

"La sua famiglia sta attraversando
- abbasso lo sguardo fissandomi i piedi, sentendomi come quando, a otto anni, mi scoprì a rubare i trucchi di mamma e utilizzarli per pitturare la mia stanza - un periodo difficile, senza dubbio..."

Non dice niente. Continua invece a fumare la sua sigaretta osservando luci lontane. L'ha sempre fatto. Ha sempre preferito luci lontane e indistinte a guardare me negli occhi.

"Papà mi ha detto che ti hanno offerto un posto da vice CEO alla filiale di Capital City... congratulazioni".

"Ti ringrazio, ma non è ancora certo. Sto considerando la decisione"

"Come mai?"

"E' un incarico manageriale. A New London posso occuparmi esclusivamente della ricerca"

"Be' ma... tu sei brava a gestire gli altri, no?"


Non mi risponde, la sento solo sospirare, mentre continuo ad osservarle le spalle. Dopo un lungo momento di silenzio, riprendo il discorso, cambiandolo.

"Assurde le storie di Jordan, no?"

"E' un'ottima narratrice".


Ha un tono neutro. Si ferma e riprende a parlare spontaneamente, mentre le sue corde vocali si tendono di disappunto - io ho imparato a riconoscerlo -.

"Seppure non riesca a capire tutto l'entusiasmo che le sue storie provochino. Ha servito in una sala macchine per neanche l'intera durata della guerra. Non era lei a sparare, non si è mai neanche avvicinata ad una persona il cui compito operativo fosse quello di fare effettivamente la guerra. Faceva il meccanico di bordo" e lo dice con un vago disprezzo che posso sentire. Continua a fumare, io sto zitta mentre lei si calma.

"Come va medicina?"
Chiede dopo un po', e quella è la mia battuta d'entrata.

"Così. Alti e bassi - mento, azzardandomi adesso ad avvicinarmi di più, affiancandomi a lei. Continuo a guardare per terra, però, e se non fosse per il freddo probabilmente continuerei a girare attorno alla materia ancora a lungo - ho un problema".

Lei cicca nel posacenere. Mi chiede di dirglielo, senza neanche staccare lo sguardo dall'orizzonte illuminato.

"Io ho... ho fatto una cosa molto stupida, e ora... ora ho bisogno di soldi per risolverla".

Neanche questo attira la sua attenzione. Continua a fumare lentamente, e ogni boccata è un secondo in più in cui mi lascia sospesa sul filo.

"Di cosa si tratta?"

"Di... ho fatto un video. Ti ricordi Edric, l'ho portato lo scorso Capodanno... ci siamo lasciati in modo un po' burrascoso e..."

"Intendi quello che voleva rivoluzionare la videotecnologia?"

"Lui... ora lui ha questo video che avevamo fatto per gioco e... non vuole restituirmelo, a meno che..." e mi sento le guance diventare rosse dall'umiliazione e l'imbarazzo, mentre cerco il suo sguardo senza trovarlo.

"Quanto ti serve?"
taglia corto lei, e io tentenno.

"Venticinquemila dollari. Volevo rivolgermi alle autorità ma... Lane, lo sai come sono mamma e papà, ne morirebbero se venissero a scoprirlo e io..."

"Non ne morirebbero, Nadja. Sicuramente gli dispiacerebbe, ma chi ne uscirebbe più danneggiata saresti tu, e il nome dei Khan".


Mi azzittisco, ben sapendo che se voglio i soldi non devo oppormi, devo lasciarla essere sgradevole come sempre.

"Te li darò, ad una condizione"

"Certo, qualsiasi cosa..."

"Devi smetterla di vedere Deshawn Sun. E' un cercatore d'oro che sa benissimo che, senza la protezione del padre, perderà il lavoro con la rapidità di uno schiocco di dita. Ti sta usando. Non ti affretterei a questa conclusione se il patrimonio minacciato fosse quello dell'intera famiglia, ma la tua leggerezza come al solito è inaccettabile, Nadja"

"Ma Deshawn..."

"Deshawn ti ama, certo. Non mi imbarcherò in una discussione con te, ma se vuoi che ti presti questi soldi, la condizione è questa."

Mi poggio la mano sulla bocca e faccio un passo indietro, tentando di non mettermi a singhiozzare davanti a lei.

"E un'altra cosa: so benissimo che non stai frequentando più medicina. Prima o poi dovrai dirlo anche a papà".

Ricaccio nel petto il groppo che mi sale alla gola mentre la osservo immobile come una statua, lo sguardo vitreo puntato lontano, privo di profondità o di un briciolo di compassione. Vedo i calcoli che montano da sempre il suo cervello spazzando via la possibilità di qualsiasi interazione umana o affettiva. Guardo mia sorella e di lei so tutto: so che ha studiato sempre con successo, che si è distinta in ogni cosa provasse, che è una persona scrupolosa e puntuale, che è un ottimo ingegnere, un ottimo manager, che è in terapia da quando aveva quattordici anni, che i suoi attacchi d'ira sono rari quanto aggressivi, che a differenza mia si è applicata nello studio del pianoforte, che anche il suo culo è gelido come i suoi occhi e che per quanto sia perfetta, per quanto sia impeccabile, per quanto mamma e papà la apprezzino più di qualunque altra persona, è me che amano di più, semplicemente perché amare Declan è impossibile, è frustrante e inutile. Così frustrante e inutile, come quando stai in piedi accanto a lei, la preghi di aiutarti nel momento del bisogno e lei continua a fumare, a non guardarti, come se i tuoi problemi la annoiassero e rassegnassero allo stesso momento. Guardo mia sorella, di cui so tutto, ma l'unica cosa che vedo è un'estranea.

"Puoi pensarci, se vuoi, ma ti prego di darmi una risposta non oltre domani, quando tornerò a New London".

La lascio sul patio e vado a cercare a tentoni il bagno, sottraendole la soddisfazione di vedermi piangere.

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