26/03/12

Artificio




Ho dato tutto alla Blue Sun.

Sarei ingiusta se non dicessi che ho anche preso tutto. Ho preso tutto il possibile, quindi, i soldi e lo status sociale, una casa ampia fornita dalla compagnia stessa, una macchina di lusso, tutti i comfort che avrei mai potuto avere, li ho avuti. Ho anche lavorato duramente come pochi, ho dormito poco. Negli ultimi dieci anni, intendo: ho dormito poco.

Quella che mi ha offerto Jacob Heisenberg, oggi, sulla Blue Sun Station One, è effettivamente una promozione. Per la stessa paga, mi hanno dato la responsabilità di un progetto tanto avveniristico da essere fantascientifico, con scadenze relativamente brevi e una spada di Damocle che mi pende sulla testa: la concorrenza.

E' una spada pesante, che mi costringerà a nascondermi sotto terra per circa venticinque giorni al mese. La base si trova a Xanto, il progetto si chiama Deep Mind.

Intelligenze Artificiali.

Sono combattuta: vivere in una base ingegneristica mi costringerà a tornare all'essenziale, a rinunciare al vino costoso, ai lussi. Devo anche informarmi se i dobermann saranno benvoluti: non posso abbandonarli a nessuno.

Ma è ciò a cui ho sempre voluto lavorare, in fondo, ed è a poche centinaia di miglia da Sadrany. E' una città che conosco, che mi ha sempre affascinato nella sua decadenza e nell'ostinazione dei suoi abitanti nella ricostruzione. E' caotica quasi quanto lo era Afghana prima che iniziasse la guerra. Chissà se la nostra casa è stata ricostruita.

Ma adesso, proprio adesso. Proprio dopo ciò che è successo poco più di una settimana fa, dopo ciò che mi hanno detto Nadja e Louise. Dopo ciò che mi ha detto mio padre, andare a lavorare sulle I.A. sembra quasi un modo ironico del destino per dirmi che il mio futuro non è nelle relazioni con il genere umano, ma con quello robotico.

Ma non mi importa di Nadja: è ancora una bambina e non credo diventerà mai più intelligente di quanto sia, forse per colpa di un'educazione troppo permissiva. Louise è mia madre, ma mentirei se dicessi che mi importa del suo giudizio.

Ma mio padre. Quando è venuto a trovarmi in hotel, il giorno dopo il litigio, l'ho guardato negli occhi e ho visto solo delusione. Non penso di avervi mai letto affetto, forse protezione, quando ero piccola, anche rabbia in alcune situazioni. Delusione mai.

Quello che mi ha detto mi ha colpito. Ho sempre pensato che la sua severità fosse stata una questione di amore paterno, il suo modo di spronarmi a dare sempre di più... il suo modo efficace per farmi dare sempre di più. Ma non ha detto questo. All'hotel, rifiutandosi anche di sedersi, ha detto poche frasi.

Ho una buona memoria, posso ripetere l'intera conversazione parola per parola.

Il suo sguardo distaccato vedendo la bottiglia di vino naturale di Jasonville sul tavolino basso della mia suite.

Il suo modo duro di dire: "ieri sei andata oltre ogni limite" e "la tua ambizione è diventata più grande della passione per il tuo lavoro", fino al "non so cosa c'è che non va in te, ma so che è così da sempre. Speravo che la terapia lo risolvesse, ma non è così: lo ha solo instradato in modo che sia più socialmente accettabile".

E ancora: "mi auguravo diventassi una persona migliore", "ciò che hai detto a tua sorella, in un momento di tale fragilità nella sua vita, è puro sadismo". "Hai un serio problema, Declan, che hai bisogno di risolvere. Ma adesso non ti aiuteremo più."

Sembrava Nadja, Nadja quando mi rinfacciava di avere ucciso la metà dei suoi animali domestici, quando era bambina, solo per poterli vedere morire. Nadja che mi diceva che amarmi era impossibile, frustrante e inutile. Come Nadja nostro padre. Come nostro padre anche Louise.

Ho urlato. Non mi capitava da molto, ma suppongo che sentirmi così attaccata mi abbia costretto a reagire. Gli ho detto che poteva vedermi come una pazza, se voleva, ma che tutto ciò che faccio è essere al passo coi tempi. Che gli ideali sono sorpassati, che il denaro detta i vincitori del domani e che io non voglio mai essere tra i perdenti. Che non mi chiuderò in un laboratorio come lui, ad invecchiare sulle provette, che il lavoro che faccio ha un valore che voglio riconosciuto e pagato. Gli ho detto che è solo un vecchio, che quando sarà morto nessuno ricorderà il suo nome. Che morirà presto, perché continuerà ad invecchiare velocemente, a furia di stare gobbo sui suoi studi. Che sono la migliore cosa che potesse capitargli, che non l'ha mai capito, che io andrò lontano e non sarà per merito suo.

Era furioso. Furioso e arreso. Ha detto che per lui ero morta ed è uscito.

Non li avvertirò del mio trasferimento, forse lo leggeranno dai giornali. Non avvertirò molte persone, comunque: non penso che a qualcuno interessi veramente.

Ma interessa a me.
E se c'è una cosa che ho imparato in questi anni, è che io mi basto perfettamente.

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