02/03/12

Gerarchie mobili


Mio padre è sempre stato un uomo particolare.
E' sempre stato più severo con me che con Nadja, alla quale usava un'indulgenza che, in gioventù, mi sembrava ingiusta e ingiustificata. Ho capito solo più tardi perché lo faceva, cosa vedeva in me. Quale potenziale.

Dico che è un uomo particolare perché raramente una spinta creativa come la sua si sposa con una capacità analitica e organizzativa così solida. Ho visto tanti geni veri e presunti, dall'università ad oggi, e ognuno di loro eccedeva in indulgenza autorivolta ed eccentrecità. Una delle numerose cose che ho sempre apprezzato di Alban era la sua capacità di mantenere un'apparenza così sobria quando nella sua testa esplodevano le premesse per gettare le basi di un nuovo tipo di fare scienza.

Non mi ha mai perdonato nulla, mai. Ha sempre esatto il massimo possibile da me, in ogni cosa che mi apprestassi a fare, dandomi gli strumenti per raggiungere il meglio possibile e restando poi a guardarmi mentre capivo da sola come utilizzarli, in attesa che ci arrivassi. Ci sono sempre arrivata, so di aver avuto sempre la sua approvazione, almeno fino all'università. La mia scelta di lavorare per una Corporation piuttosto che restare nel campo della disinteressata ricerca universitaria l'ha in qualche modo colpito, un po' offeso: non l'ha mai detto, ma lo so. L'ho capito da come le nostre telefonate si sono fatte appena meno intense di contenuti. Se mi ha insegnato la compostezza, l'applicazione che trascende nell'ostinazione, addirittura l'abnegazione, deve ad un certo punto essersi iniziato a chiedere da dove venisse tutta quella incredibile ambizione che mi vedeva negli occhi dalle prime fiere della scienza scolastiche. E' qualcosa che mia madre non ha e che a lui sfugge completamente, tanto da averlo fatto allontanare nel momento in cui ho iniziato a lavorare effettivamente per scalare la gerarchia.

Nella mia famiglia, nessuno ha mai lavorato per fare soldi. I soldi sono sempre stati l'effetto collaterale di studi intensi e conseguenti carriere brillanti, e quelle carriere brillanti hanno portato al prestigio del nome Khan. A differenza di me, i miei genitori non vengono lusingati dalla riverenza delle persone, da un conto in banca gonfiato, dall'epiteto affiancato al proprio nome: CEO. Non capiscono nemmeno come il piacere del vino e dell'alcol costoso, dei concerti nel centro di Capital City, dei ristoranti raffinati, delle macchine di lusso sia un'espressione di quell'ambizione, la semplice ostentazione di una serie di status symbol in grado di affermare il mio posto in una delle più rigide gerarchie di questo grande 'Verse: quella sociale.

Per questo la chiamata di mio padre questa sera mi ha sorpreso.

Mi ha fatto le congratulazioni e mi ha chiesto come stavo. Ci siamo scambiati i soliti convenevoli da estranei, gli ho chiesto del suo lavoro e lui mi ha chiesto se ero soddisfatta della nuova posizione.

Gli ho detto di sì. Che mi avrebbe permesso di fare nuove cose, grandi cose.

Mi ha ricordato come la modestia non sia mai stata nelle mie corde.

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