06/01/13

Jamie



Oppilana Nerhu era una donna sui trentacinque anni ancora attraente, con fianchi e seni ampi che stringeva in abiti aderenti di tessuti spessi. Si era laureata senza lode in giurisprudenza, e si diceva che a breve sarebbe diventata socia di un piccolo studio legale per cui lavorava ormai da anni, specializzato perlopiù in divorzi milionari e cause sull'eredità. Aveva chiamato Declan più volte prima di riuscire a strapparle un appuntamento, e adesso la guardava con un sorriso tenue affacciato da dietro il menu rilegato che fingeva di sfogliare. 

"Mi spiace di non poterti dedicare più tempo, purtroppo ho solo quaranta minuti prima di un appuntamento di lavoro - a Declan piaceva chiarire le cose subito. Per qualche motivo in famiglia si credeva che lei e Oppilana avessero un rapporto speciale, ma non era così. Si limitavano ad aggiornarsi alle cene di famiglia sui movimenti dell'alta società del Core: una serie di informazioni che le erano estremamente utili per pianificare i rapporti con quella stessa alta società di cui il suo prestigio non poteva fare a meno - la tua chiamata mi ha sorpreso: non ci vediamo da molto"

"Ed era ora di vederci, non trovi? - Oppilana poggiò il menu sul tavolo, evidentemente poco interessata. Aveva larghi occhi neri e capelli color cioccolato sciolti sulle spalle in maniera un po' disordinata, ma sensualmente affascinante - ho visto tuo padre di recente, e mi ha detto che non ti sente da un po'."

"E così - rispose Declan senza problemi, ignorando la cameriera che attendeva disperatamente un suo cenno per avvicinarsi - il lavoro mi tiene molto impegnata, e un viaggio a Gandhi è qualcosa che non posso permettermi: ho tempi piuttosto stretti, scadenze serrate..." lasciò sfumare la frase in altre scuse poco fantasiose, pronunciate con nessuna convinzione.

"Anche Nadja è scomparsa da un po', da qualche mese. O meglio, non torna a casa, mentre non si fa sentire da un paio di settimane. Per caso l'hai sentita?"

Declan sollevò appena le sopracciglia, sospirò e scosse lievemente il capo: "non ne so niente - rispose, incapace di nascondere una certa impazienza - mi hai contattato per chiedermi di Nadja?"

Oppilana pose fine alle sofferenze della cameriera, richiamandola a sé con un gesto. Ordinò semplicemente un tè, e Declan fece lo stesso. 

"Tuo padre mi ha chiesto di non dirtelo, Declan, ma credo che dovresti saperlo. - era evidentemente riluttante - ti ricordi di Dylan?"

Ovviamente si ricordava. Non lo vedeva da anni, ma l'immagine di un ragazzo dal fisico sottile e nervoso le tornò alla mente chiara anche nei più minimi dettagli. Dylan Jamison Khan era suo cugino di primo grado, per l'esattezza il figlio del fratello di suo padre: Jamison Khan Senior. Jamison era morto quando il suo unico figlio aveva solo sette anni e, da quel momento per diversi anni a venire, Dylan (o Jamie come veniva più comunemente chiamato in famiglia in memoria di suo padre) iniziò a passare i lunghi mesi delle vacanze estive nella casa di Corona dei Khan, insieme a lei e a sua sorella. Era di quattro anni più piccolo di lei e aveva legato perlopiù con Nadja, ma si sarebbe potuto dire che erano cresciuti insieme. Poi era andato a studiare letteratura moderna e si era ritrovato a fare il giornalista, e da quel momento le sue visite si erano fatte più rade, seppur continuasse a mantenere un fitto rapporto epistolare con Alban, che parlava di lui sempre con un certo orgoglio, come se fosse figlio suo - in un certo senso a ben vedere lo era -.

"Ovviamente. Cosa sta facendo adesso?"



"Pare che adesso scriva quel programma di informazione di Cortex Channel Five... First Hour. - rispose Oppilana piano - e ha ripreso a farsi vedere alle cene di famiglia, anche. Da quando sua madre è morta..."


"Darcey è morta?"

Ne rimase abbastanza sorpresa. Vide sua cugina annuire in maniera ostentatamente contrita, come chi non ha sentimenti autentici. Declan considerò che non sapeva fingere bene, e piuttosto che lanciarsi in un'esibizione di quel calibro si limitò a prenderne atto con un gesto lieve del capo, mostrando il grado di interesse assai basso che quella notizia le suscitava dopo il primo impatto. Ricordò di Darcey il cognome - Owle -, i capelli di un nero brillante e i modi sfuggenti, come se fosse perennemente intimidita dalla compagnia della famiglia del defunto marito.

"Porta pure a Dylan le mie condoglianze" disse Declan in tono conclusivo, credendo la questione finita.

"Non è di questo che volevo parlarti - la ripigliò al volo Oppilana - ma di ciò di cui ho parlato con tuo padre. In verità, è stato lui a chiamarmi, per un consulto professionale"

Declan aggrottò le sopracciglia, ma non la interruppe.

"Tuo padre sta avviando le pratiche per estrometterti dal suo testamento, Declan, nominando lui come suo erede sostitutivo. Da me voleva sapere quali escamotage legali avresti potuto eventualmente trovare dopo la sua morte, in modo da renderle impossibili... un paio di settimane fa ha visto uno psichiatra per farsi rilasciare un documento ufficiale che lo dichiari capace di intendere e di volere"

Declan aprì bene gli occhi, perplessa e stupita. Serrò le labbra e respirò a fondo. Sul tavolo arrivarono i due tè, ma neanche il servizio invadente della cameriera poté distrarla dalla notizia.

"Nadja...?" chiese un attimo dopo, con una certa urgenza.


"Resta come prima, per lei: erediterà metà"

Sembrava sconvolta, per quanto sconvolta riuscisse a sembrare. Rilassò il busto sullo schienale della sedia e iniziò a ticchettare lentamente con le dita sul tavolo. Guardò fuori l'ampia vetrata che dava su Capital City, evidentemente sovrappensiero.

"Dove vive, adesso?"

"Dylan?"

"Sì"


Oppilana sospirò appena. Andò a cercare nella borsa e tirò fuori un biglietto di carta - le piacevano particolarmente gli strumenti analogici e desueti da quando, a vent'anni, aveva fatto una splendida vacanza a Greenfield -. Porse il biglietto a Declan, che lo prese. Era l'indirizzo di un sobborgo di Capital City. Declan ringraziò e pagò il conto. Tornò alla macchina contando a mente a quanto corrispondesse il valore di Dylan Jamison Khan agli occhi di suo padre.

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