01/11/12

honesty for the cheater

Marzo 2514, Elèria

L'accompagnatore di Nadja si chiama questa volta Trey Montgomery, è un giocatore di Pyramid di serie B. Alto, con le spalle e le braccia piene, i capelli biondi a spazzola e il viso sornione e rubizzo. Ha un senso dell'umorismo becero e fastidioso, e guarda ogni cosa come se volesse mangiarla. Il pranzo quadrimestrale che raccoglie tutti i Khan e tutti i Nerhu è stato anticipato in occasione della mia visita a Gandhi, per festeggiare la mia recente promozione a CEO e il conquistato stato giuridico di skyplex per la BSS1.

Jordan racconta storie di guerra, come al solito. Esprime il suo disappunto dicendo che per lei gli skyplex non dovrebbero esistere, che l'Alleanza ha conquistato il rim ma ancora non riesce ad estendere la sua giurisdizione ovunque. Il resto dei parenti mi chiede informazioni che do in modo gentile e asciutto, sapendo perfettamente che non capiscono le mie risposte. Louise, mia madre, è la prima ad annuire senza sapere minimamente ciò di cui sto parlando, sforzandosi di credere alle menzogne che ho rifilato ai giornali: che la BSS1 porterà il progresso nel rim, che l'ho fatto guidata da ideali perfettamente in sintonia con i grandi obiettivi dell'Unione. Mio padre non ci casca e infatti sta in silenzio, in disparte, cupo come suo solito, con quello sguardo severo che mi ha seguito fin da bambina. Sta invecchiando, mi rendo conto. Lo osservo da lontano, e finalmente ci mettiamo a tavola.

Ma non ho fortuna. Resto intrappolata tra la sorella di mia madre, Nadja e il suo nuovo acquisto, Jordan e Shoonaj, il suo compagno da un anno a questa parte. Mangiamo continuando a parlare e io bevo curandomi di non darlo troppo a vedere. Lo fa anche Jordan. Lo fa soprattutto Nadja, lasciandosi andare in risate brevi e acute che terminano in sospiri trasognati quando poggia la testa sulla spalla del giocatore di Pyramid di serie B. Che intanto parla con me delle Shenzen Tigers, degli Starship Troopers che gli avrebbero fatto una fantomatica offerta, di Pyramid e poi di se stesso, e poi di nuovo di Pyramid. Io lo ascolto a stento, rispondendogli quando devo, chiedendomi quante cose più proficue potrei fare in questo lasso di tempo.

Ariel, mia zia, poggia la sua mano ossuta e smaltata sulla mia, mi sorride a labbra strette, un labirinto di rughe sottili le decora i lati degli occhi.

"Ma allora, Declan cara - mi dice dolcemente, non nascondendo una vaga apprensione nel tono - il lavoro ti sta forse distogliendo dalla tua vita privata? Hai trovato un uomo onesto, a Capital City?"

Chiudo gli occhi e inspiro a fondo, valutando una possibile risposta non brusca. Nadja è più rapida di me nel replicare, e non si zittisce neanche quando spalanco gli occhi su di lei, fissandola. Curioso: quando era piccola bastava questo gesto.

"Lane non è mai stata una tipa da avere uomini, zia... - spiega quasi stridula, come solo l'alcol la rende. Si poggia ancora al braccio del suo giocatore di Pyramid. E' esteticamente volgare quando lo fa: sembra quasi che le manchi una spina dorsale propria - e più una solitaria, per scelta... altrui" e ride in modo quasi squillante.

Ariel continua a tenere la mano sulla mia, nonostante io resti immobile. "E' così, Declan? Hai mai pensato a trovare un modo per dimostrarti più... disponibile? Proponendoti ogni tanto, forse?"

"Ti ringrazio, Ariel... non ho problemi"

"Fidati, nessuno lo sa meglio di me: più si va avanti con gli anni, più diventa difficile trovarsi un uomo da tenere accanto, uno valido. Senza compromettere la propria indipendenza, certo, ma è sempre piacevole avere qualcuno da cui tornare alla fine della giornata..."

"Lane... - di nuovo Nadja. Non la guardo questa volta, tenendo gli occhi fissi sul mio bicchiere di vino. Il sesto, credo. Eppure non sento nebbia - Lane ha i suoi cani da cui tornare. Dovresti vederli zia, il contrario di come dovrebbe essere un cane... una volta uno mi ha quasi staccato il braccio - e ride di nuovo. Mia zia e il suo fidanzato ridono anche loro, considerandola evidentemente una battuta - e i suoi psicoterapeuti, ovviamente. E' sempre stata un po' matta... sembra vada di pari passo con il genio"

"Oh, Declan, vedi un terapeuta? Gli hai già parlato dei tuoi problemi a legarti? Ti ha aiutato?"

Conto. Me lo insegnò il primo di quei terapeuti, a contare fino a dieci prima di avere qualsiasi reazione di ogni tipo.

"A ciascuno il suo suppongo - chi prendo in giro, arrivo appena al terzo secondo - preferisco restare concentrata sul lavoro. Nadja ha sicuramente più successo di me, in questo campo"

E Nadja sorride, gli occhi le brillano sognanti mentre li porta verso il suo giocatore di Pyramid.

"Anche se ovviamente, il rovescio della medaglia c'è per tutti. Non sei stata allontanata dalla scuola di medicina?" chiedo, e i suoi bei grandi occhi azzurri tornano su di me. Con i suoi, anche quelli del resto della famiglia. Di mia madre. Di mio padre anche: "volevo comunque dirti che puoi restituirmi quando vuoi i venticinquemila dollari che ti ho prestato, senza interessi ovviamente... spero soltanto siano stati utili a risolvere la questione in sospeso con quel tuo ex, su quel video... non ci si può proprio più fidare di nessuno oggi giorno. - sospiro, andando ad avvicinare l'ennesimo bicchiere di vino alle labbra, mentre fermo lo sguardo sul giocatore di Pyramid, gli occhi di mia sorella che tremano - e mi dispiace che sia dovuto arrivare fin qui per scoprirlo, Trey, ma le voci che dicono che sia nelle mie intenzioni comprare una squadra di pyramid sono decisamente esagerate... mi sembrava giusto dirglielo ora, per non farle perdere tempo che potrebbe sicuramente investire meglio."

Nadja si alza. Si alza tremando come una foglia, gli occhi pieni di lacrime da ubriaca. La guardo direttamente - come tutto il resto della tavolata - bevendo quel sorso di vino. Sono stata coscientemente inelegante. Non mi capitava da un po'.

Nadja mi dice che sono malvagia. Mi dice che sono cattiva, ingiusta, che lo sono sempre stata. Urla di fronte a tutti che c'è qualcosa di sbagliato in me, che mi rende sadica e crudele. Dice che è dentro di me da quando sono nata, da quando i miei iniziarono a nascondere il fatto che uccidevo i nostri animali domestici per guardarli mentre morivano. Che nonostante tutti i miei successi non avevo nessuno che mi amasse, neanche la mia famiglia, perché amare me è impossibile, frustrante e inutile. Perché io non amo che me stessa e i miei progetti, perché in me non c'è niente che si predispone per accogliere gli altri, per piacere. Dice: "per quanto possa essere storta io, tu resterai sempre quella sola, perché dentro di te c'è solo il vuoto".

Esce dalla stanza piangendo, lasciando tutti attoniti. Louise si alza per seguirla, dedicandomi uno sguardo gelido e spaventato.

Mio padre si alza. Si sistema la giacca, dice: "credo sia ora che tu vada".

"Pensavo che tutta questa festa fosse per celebrare i miei successi - dico io, e non so fino a che punto è il vino a parlare, quando continuo - visto che tendo a portare quelli, ai nostri incontri, piuttosto che una serie di uomini scelti randomicamente tra l'aristocrazia decaduta e questi nuovi pseudo eroi del popolo" faccio un sorriso sottile al giocatore di Pyramid, intontito, chiedendomi se la sua mente riesca a processare il fatto che quelle parole siano un insulto.

"Ora basta, Declan. Tutto ciò è inammissibile"

"Suppongo di star imparando il valore dell'onestà"

"Non penso di essere stato sufficientemente chiaro: non sei più la benvenuta in questa casa."

Sposto quindi lo sguardo su di lui, e un'occhiata fugace mi è sufficiente a capire che non sta scherzando. Mi alzo in piedi, cercando di organizzare la confusione che ho in testa, di ripartirla come uso fare di solito. Mi avvio nel silenzio imbarazzato che si è creato nella sala da pranzo, mi sento gli occhi di tutti addosso. Raccolgo il mio cappotto all'ingresso e vado in macchina. Respiro a fondo, penso un attimo.

Mi sento leggera.

Sorrido piano perché adoro sentirmi esattamente in questo modo: leggera. Con leggerezza sfilo la mia macchina dal vialetto e con leggerezza sfioro i centottanta chilometri orari sulla strada. Mezz'ora dopo, ho già dimenticato tutto.




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